…memoria

Con il passare degli anni, si conferma che il Giorno della Memoria è sempre più ingombrante e imbarazzante.
Avevamo cominciato con rievocazioni e testimonianze. Qualche spezzone di documentario. Giovani che presentavano rielaborazioni innocenti della loro fruizione scolastica.
Poi si era inserita la musica, in tono con l’occasione, che dicesse con i suoni quello che le parole non sanno dire e che molti di noi si portano dentro. Abbiamo ascoltato le musiche dei compositori eliminati ad Auschwitz, poi le musiche ispirate da Auschwitz. Ma ogni anno la cosa si fa più difficile.
Proporre qualcosa che non sia la fotocopia dell’anno precedente sembra impossibile. Le testimonianze stanno venendo meno. I documenti sono gli stessi.
La ripetizione, monotona e stantia, si sa che va evitata. La fantasia non soccorre. Qualcuno si è chiesto, e si chiede, se valga la pena di continuare con questo Giorno se, assieme all’informazione che certamente passa a coscienze ben disposte, produce in molti il senso della noia, del ricordo come dovere imposto. Forse – o senza dubbio – c’è chi partecipa perché non può farne a meno, e lo si sente in certi discorsi d’occasione di autorità sparse. Oltretutto, sempre più, il Giorno (che è diventata un mese) e la sua organizzazione ricadono, seppur non ufficialmente, sulle spalle di rappresentanti delle Comunità, su cui alla fine viene scaricata la responsabilità delle scelte. In questo gracidante meccanismo si sono inseriti artisti e compagnie di giro che cercano di salire sul carrozzone per svolgere qualche attività professionale. Le musiche dei campi sono diventate allegre performance in cui si mescolano musica klezmer e balli israeliani, con l’invito al pubblico a partecipare e a battere le mani. La revisione del sentimento, se non quella della storia, la stiamo facendo noi. Bisogna smetterla di essere tristi e piangere, la storia va avanti, e allora è bello cantare e ballare e sentirsi parte dello spettacolo per dire la nostra gioia, il superamento della tragedia. Fra un po’ ci verrà proposto qualche documentario sui moderni impianti di desalinizzazione nel Negev. Altro che indicibilità della poesia dopo Auschwitz. Qui la riflessione è stata sostituita dal cabaret, e anziché uscire pensando e sentendo si esce con l’adrenalina in corpo, entusiasti e sollevati. La realtà, quella vera, al di fuori dei nostri allegri teatri, è quella dei coltelli, delle aggressioni alla kippà, delle liste antisemite, dei boicottaggi di dubbio intento a tutto ciò che è israeliano, e via dicendo. C’è poco da stare allegri, e c’è poco da battere le mani. Non c’è spazio per revisioni e superamenti. Soprattutto, non c’è spazio per la revisione del sentimento. ll Giorno della Memoria va cancellato per non gettare anche il ridicolo sulle tombe inesistenti dei nostri morti.

Dario Calimani, anglista

(26 gennaio 2016)