Qui Torino – Il processo impossibile

shamgorodLa compagnia Teatri della Resistenza mette in scena in occasione del Giorno della Memoria “Il processo di Shamgorod”, un testo tra i più audaci dello scrittore e Premio Nobel per la pace, Elie Wiesel. L’iniziativa di portare lo spettacolo su un palcoscenico piemontese nasce dalla collaborazione tra la Comunità ebraica di Torino e il Teatro Stabile, assieme al Teatro Nazionale.
La vicenda si svolge all’interno di una vecchia locanda, in scena l’oste Berish, la serva Maria e tre clienti che poi si rivelano essere tre attori ebrei, tre purimspieler, venuti a Shamgorod per celebrare la festa di Purim, dove tutto (o quasi) è permesso purché sia fatto per divertirsi, purché sia recitato appunto. I tre attori vogliono far festa, ma l’oste è cupo e scontroso. Solo dopo diversi scambi di battute rivela che non ci sono più ebrei nel villaggio, non c’è nessuna comunità da rallegrare, lui e la figlia Anna sono gli unici rimasti. Shamgorod era infatti stata soggetto a un pogrom violentissimo e l’intera comunità era stata massacrata.
Berish se la prende con l’Onnipotente, contro il suo mancato intervento per evitare lo sterminio. Inizia così un dialogo tra Berish e uno dei tre attori, uno scambio serrato di battute sul tema della responsabilità. Wiesel con profonda audacia affronta in chiave testuale uno dei temi forse tra i più scottanti che siano mai stati trattati in parallelo al Giorno della Memoria, dove si commemorano i caduti, si ricordano i fatti, dove i responsabili sono già schierati.
La vicenda si evolve a tal punto che gli attori e il taverniere decidono di mettere in scena un Din Toràh, un vero e proprio processo. Manca l’imputato, ma entra in scena un presunto difensore. La questione si rivela ambigua e molto intricata, il verdetto non viene emesso, il processo continua, forse continuerà all’infinito, almeno finché l’ultimo uomo popolerà la terra.
A far da cornice all’intero spettacolo è la festa di Purim, con le sue farse e le sue maschere. A Purim è concesso tutto purché sia per gioco: ed ecco che il processo a Dio viene messo in scena, i tre attori sono i giudici, Berish il procuratore. Durante la simulazione del processo compare la figlia Anna come testimone dei fatti. Anna accoglie la metafora di Purim e ci si aggrappa con struggente disperazione. “Quando finirà Purim?”, chiede. Solo allora ci si toglierà le maschere, i morti ritorneranno a vivere e i vivi riprenderanno a ridere.

Alice Fubini

(26 gennaio 2016)