Non siamo certo noi
quelli da ringraziare

Chi, ormai stordito dal rombo incessante della propaganda, perde il suo tempo a ossequiare eroi, autentici o di cartapesta che siano, è ora servito. Nella galleria mitologica pronta all’uso può tranquillamente includere anche i giornalisti della redazione dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane che hanno valorosamente sbugiardato e ridicolizzato la protervia del presidente iraniano Rouhani.
Ora che fioccano le pacche sulla spalla, tuttavia, qualche domanda sarebbe il caso di porla a noi stessi e non solo al leader di una feroce teocrazia.
In effetti, abbiamo spesso le risposte pronte, ma la domanda, qual era?
Volevamo dimostrare che il leader iraniano né voleva né poteva rispondere ai nostri interrogativi? Non direi, perché questo lo sapevamo già.
Volevamo piuttosto mettere a nudo come la conferenza stampa conclusiva della sua infelice visita in Italia fosse una sceneggiata dove non solo le risposte erano scontate, ma soprattutto le uniche domande ammesse erano state concordate in anticipo.
Questo non è un problema per l’Iran, è un problema per l’Italia e per il suo sistema dell’informazione e della politica. Per tutti, anche per gli amici che una domanda vera al Rouhani di turno non sono andati a porla e si sono ben guardati di dare atto che altri l’hanno fatto al loro posto.
Per ricordarci qual era la domanda, in effetti, si è rivelato utile formare giornalisti professionisti di valore (l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane ha investito per formarne otto giovani ebrei italiani in questi ultimi anni), mettere loro in mano la tessera rossa, motivarli, appoggiarli, offrire loro testate giornalistiche professionali e autorevoli nelle quali esprimersi, dotarli della consapevolezza che ogni risultato è il successo comune di un gruppo di lavoro, mai la smania del singolo esibizionista. Assumersi insomma qualche responsabilità.
Per questo, non ringraziate noi, che ci limitiamo a fare il nostro dovere e amiamo il nostro lavoro. Ringraziate chi ha consentito al mondo ebraico italiano di fare informazione in una dimensione credibile e forte. Di lavorare per lasciare segni tangibili. Di metterci in condizione di fare i giornalisti a testa alta.

gv

(28 gennaio 2016)