Ve lo prometto, vi tradirò

Valerio Fiandra Nelle ultime settimane, a partire dai primi di gennaio, i libri che ho letto si dividono in due categorie: i Belli e gli Altri. Il problema è che gli Altri sono tutti di autori italiani contemporanei, e i Belli sono quasi tutti di scrittori che scrivono in inglese o francese o spagnolo, e per lo più sono anche piuttosto morti. Non ho remore patriottiche, anche se non posso non riflettere sulla coincidenza perfetta fra paesi declinanti e loro letterature, o viceversa, e concludere – rammaricandomene – che la fotografia della situazione letteraria italiana assomiglia molto a quella civile e politica.
In questi tempi di ottimismi forzosi e facili pessimismi – dove pare che il massimo favore che puoi fare a qualcuno è parlarne male – però io provo imbarazzo a prendere questa piega anche in fatto di libri: con tutti quelli Belli, a volte meravigliosi che esistono, mi dico, ma perché mai devo far pubblicità agli Altri, che pure abbondano? Scrivere di Flaubert, o di Cortazar, o di Sterne comporta dei rischi, però. Cosa vi posso dire di originale, di fresco? Che Madame Bovary è una gioia per la vista e il tatto, tale è la capacità del Gran Normanno di farci vedere e toccare le umane e condivise miserie della piccola borghesia francese dell’Ottocento, e non solo? Che il più grande scrittore (certamente il piu alto) sudamericano del Novecento ci ha davvero donato, con il suo Rayuela, il piacere di giocare, e rigiocare, ogni volta che vogliamo, al Gioco del Mondo? Che il Tristram Shandy è più moderno di ogni storia piena di app, sms o mail, più divertente di ogni auto assolutorio film finto surrealista, e più civico-politico-religioso e davvero dissacrante di ogni Travagliata contemporanea?
Ma non posso cavarmela così, me ne rendo conto.
E allora stavolta vado a prendere una mia vecchia scheda editoriale (noi malati prendiamo appunti sui libri anche quando nessuno ci pubblica) e vi scrivo di un libro che è: a)magnifico – b) di un autore non ancora morto – c) che non avete già sentito nominare (e forse mai).
Il suo nome è Adam Zagajewsky, è del 1945, è polacco di origine ucraina; è un poeta, che scriva in versi o in prosa. In Italia lo possiamo leggere soprattutto grazie ad Adelphi, ma l’editore svizzero italiano Casagrande ha in catalogo un gioiello intitolato L’Ordinario e il Sublime, uno di quei testi-confine i quali – una volta letti-attraversati – siete in un altro paese, quello della Letteratura, e non volete piu andare via. Il titolo è Tradimento.
Chi però, a questa parola, si accendesse di curiosità, si spenga: non modalità di consolazione, o strategie di vendetta troverà nel libro, bensì esercizi di ammirazione per un tipo di condizione umana fra le più comuni e condivise, a mio parere. Seguitemi, se adesso mi date torto, fino alla fine; sono solo poche righe: vi tradirò, ve lo prometto.
Il doppio, il numero due presiede infatti a questo libro: in senso stretto allude al confronto, al dialogo, al paradosso; in quello esteso rimanda al plurale, al molteplice, al prismatico.
Parte dalle “due città” e arriva ad “innocenza ed esperienza” il percorso che il poeta polacco traccia, lungo l’arco della propria vita, divisa fra influenza della Storia e liberazione individuale attraverso le arti. Nel primo, il testo che apre e caratterizza l’intero libro, l’infanzia e la gioventù di Adam sono lo spunto per un confronto già evidente fra una prima coppia di opposti inganni: ieri e oggi. Nell’ultimo, vera e propria ‘summa laica’ dell’intera sua opera, Zagajewsky rovescia l’abitudine di considerare cronologicamente i due termini: prima viene l’innocenza, si suole dire comunemente, poi l’esperienza. No, replica lui: ogni ‘sapere’, nessuno escluso, cade in pezzi davanti alla realtà (par di sentir echeggiare Leopardi). Dunque la sola vera innocenza sarà possibile dopo l’esperienza, poiché sarà da essa temperata, sarà “più ricca d’esperienza, più povera di fiducia”.
Per AZ ( che ne dite, eh, di questo altro, simbolico-allusivo testa-coda?), “comprendiamo qualcosa per un istante e poi lo tradiamo, quell’attimo”. Nasce però da questa matura constatazione lo sguardo da adulti sul mondo (quello ‘piccolo’ del quotidiano, come quello ‘maggiore’ delle questioni storico-filosofiche) che ci libera dall’oscurità, o dall’abbagliamento.
La poesia – che è figlia di Estasi e Ironia (dell’abbraccio incondizionato e del distacco meditato), serve alla comprensione: leggerla è di pochi ma sarebbe d’aiuto a tutti, dice in poche righe a pagina 226, in uno stile asciutto e sommesso.
Va a questo punto detto che è il linguaggio di AZ a ponteggiare le sue analisi. Lunghi o brevi che siano, i voli della mente cui invitano le sue parole, sono ben sorretti da piloni stabili, e abbelliti da uno stile pulito e splendente. Ti pare di attraversare i suoi testi come passeggiassi in un giardino all’italiana, tanto ben proporzionato ed esatto nella sua architettura complessiva, quanto fiorito nelle sue parti minute.
Libro per lettori lenti, Tradimento è particolarmente indicato per i giovani (e meno giovani) aspiranti scrittori: le incertezze, le infedeltà, le insicurezze di AZ risaltano, e sono feconde pillole per chi avesse della scrittura un idea romantica. In particolare i libri e gli autori di cui AZ scrive sono visti nelle loro debolezze, rimpianti e scarti. L’accostamento delle loro vite ‘pubbliche’ con la loro vita segreta è rivelatrice di una competenza diretta, in cui l’amarezza per l’incapacità (l’impossibilità?) di essere sinceri è compensata da una pietas sincera e generosa.
L’umile e orgogliosa lettera di un piccolo popolo a dio, il tradimento del poeta compromesso, le passeggiate ‘a perdersi’ per Cracovia o Parigi, i ritratti di Junger, Benn, Stendhal, Lèautaud: ogni pezzo è un tassello atto alla costruzione dell’incerta e nitida visione di Zagajewsky. La poesia è imperfetta, dunque porta vicino al vero: la vita è tradimento, dunque amiamoci davvero, sapendolo.
Sì, ci siamo capiti: quasi nessuno scrittore italiano contemporaneo ha letto Zagajewsky.

Valerio Fiandra

(28 gennaio 2016)