Qui Roma – La violenza da condannare
Perché il femminicidio è un male della società così poco conosciuto? Da cosa è possibile partire per arrivare a una maggiore presa di coscienza di un problema di dimensioni tali da causare quotidianamente centinaia di vittime? Sono le domande a cui cerca di rispondere Shalva Weil, professoressa dell’Università Ebraica di Gerusalemme a capo di un progetto europeo per favorire la ricerca e la diffusione di questi temi a livello internazionale chiamato “Femicide Across Europe”, ma anche un’autorità negli studi sugli ebrei etiopi e indiani. L’accademica israeliana è stata protagonista di un incontro svoltosi ieri a Roma, nella sala Salvadori della Camera dei Deputati, organizzato dal professor David Meghnagi, direttore del Master internazionale di II livello in Didattica della Shoah.
Il femminicidio è un tema di cui il parlamento italiano si è fatto carico negli ultimi anni, ampliando e intensificando la legislatura per punire il reato, ha osservato la deputata Lia Quartapelle (che ha portato i suoi saluti alla lezione). Un segnale, le sue parole, “del sostegno sul piano nazionale alla lotta contro la violenza sulle donne”. Sostegno particolarmente necessario strando alle statistiche riportate da Weil. Per quanto riguarda l’Italia i numeri parlano di circa una vittima di femminicidio ogni due giorni ma – ha rilevato la studiosa – non sempre nelle cronache si usa questo termine per definire tali omicidi, individuandoli come tali. “Il femminicidio è un fenomeno invisibile, nonostante nel mondo sia una delle cause primarie di morte fra le donne”. Secondo la sociologa dell’Univresità di Roma Tre Annalisa Tota, che ha introdotto la lezione di Weil, si tratta di un “male estremo, come lo avrebbe definito Hannah Arendt”. Una sproporzione tra le dimensioni del fenomeno e una presa di coscienza anche del mondo accademico che è per Weil uno dei maggiori ostacoli da superare: “Se ne parla pochissimo, praticamente solo tra le femministe, ma invece dovrebbe essere diventare uno degli oggetti di indagine più mainstream nel campo degli studi di sociologia”.
Una necessità di maggiore conoscenza che, come ha rilevato Meghnagi, si lega anche a una migliore comprensione di come si sviluppi la violenza nella società: “Il modo in cui funziona una famiglia permette di osservare meglio le dinamiche culturali e del rapporto tra persone, andando a fondo anche dello studio di tragedie come la Shoah”.
“Penso che portare in Italia studiosi e professori israeliani per parlare di temi non per forza strettamente connessi all’ebraismo condividendo la loro esperienza sia il modo migliore per andare contro ogni appello al boicottaggio”, ha osservato Meghnagi.
Francesca Matalon twitter @fmatalonmoked
(3 febbraio 2016)