Segnalibro – L’opera di Bernard-Henry Lévy
“Fiducia nell’intelligenza, lo spirito ebraico”

bernard-henry-levi “La fiducia nell’intelligenza. L’idea che una parola non valga, e non sia eventualmente santa, se non quando è commentata, discussa, ripresa all’infinito, studiata. Il contrario, in altre parole, del dogmatismo. L’inverso del pensiero immobile che ripete stupidamente idee preconfezionate, le rimaneggia senza davvero capire e le riveste, dice il Talmud, ‘degli abiti già indossati da altri'”. Questo è lo spirito dell’ebraismo per Bernard-Henry Lévy, come lo sintetizza in un’intervista per il quotidiano francese Le Figaro. E di tale spirito il filosofo ha deciso di fare l’oggetto del suo nuovo libro, intitolato appunto L’esprit du judaïsme, in uscita oggi per Grasset. Si tratta del trentesimo lavoro di BHL, l’acronimo con cui è soprannominato Oltralpe. 438 pagine che raccontano il legame del filosofo con l’ebraismo, un legame che non consiste in una fede ma piuttosto nella consapevolezza di alcuni valori, e di come tali valori si intreccino con le battaglie politiche e la difesa dei diritti umani.
L’esprit du judaïsme costituisce dunque un’opera capitale per il pensiero di Lévy, e in ogni caso “la più intima, quella in cui sono andato nel più profondo di me stesso”. Un libro che sognava da più di vent’anni, più volte abbandonato e ripreso nel corso della sua vita. “Ho deciso di completarlo ora – racconta dunque – nell’ansia e nella rabbia, di fronte a questa Francia che amo tanto ma che è allo stesso tempo anche quella dell’assassinio di Ilan Halimi, quella della scuola di Tolosa dove si uccide una bambina con una pallottola in testa solo perché è ebrea, o quella delle manifestazioni propalestinesi in cui si grida ‘morte agli ebrei’ nelle strade di Parigi”. Il libro, spiega dunque BHL, nasce in sostanza anche come una difesa dell’ebraismo in un momento in cui ne ha particolarmente bisogno, mentre “un odio antico prende delle abitudini nuove”. Alla base dell’antisemitismo vi è sempre stata secondo lui la capacità di “trovare degli argomenti, le parole che possano dare alla passione una forma di razionalità e, in fondo, di legittimità. Odiare dietro una maschera, far del male dando l’impressione di far del bene, questa è sempre stata la procedura. Ebbene – le parole di Lévy – è la stessa cosa oggi, con questo cocktail letale che è l’associazione con antisionismo, negazionismo e gara per la Memoria. Insieme, esse possono nuovamente dare l’impressione che l’antisemitismo sia un discorso certamente spiacevole, ma normale, quasi salubre”.
Ciononostante, precisa BHL all’Agence France Presse, “non penso né che la Francia sia alla vigilia di una nuova notte dei cristalli, né che sia giunta l’ora per gli ebrei francesi, di far le valigie e partire”. Ed è per questo che oggi il filosofo ha sentito la necessità di agire “in quanto francese”, poiché “sono fiero di contribuire affinché il mio paese sia la punta della lotta contro la tirannia, e poiché credo irremovibilmente nell’universalità dei diritti imani e sono inflessibile nella mia fedeltà all’ebraismo”. Nel libro Levy, la cui azione lo ha portato negli anni in giro per il mondo, dal Bangladesh all’Ucraina, dal Darfur al Ruanda, dal Kurdistan alla Libia, scrive:
“Ho passato una parte non trascurabile della mia vita ad agire, operare, spendere una quantità considerabile di energia in favore di popoli che non erano il mio, la cui sorte avrebbe potuto essermi molto più indifferente e che anzi erano spesso, in potenza o in atto, i nemici di ciò che sono”. Ma dietro tutto questo vi è sempre una profonda convinzione: “Nulla di quello che ho fatto l’avrei fatto se non fossi stato ebreo”.

Francesca Matalon twitter @fmatalonmoked

(4 febbraio 2016)