Setirot – L’asinello di Elisha

jesurumL’asinello di Elisha: curiosa e affascinante l’idea di intitolare un saggio su “la solitudine degli ebrei di sinistra in Italia, dal dopoguerra all’attentato a Rabin” riferendosi a un famoso e commentatissimo midràsh del Talmùd che tratta di ortodossia ed eresia, ovvero la storia del santo Rabbi Meir che andava a studiare da Elisha ben Abuyah – detto Asher, lo straniero, proprio perché Elisha ereticamente aveva “varcato i confini”. Curiosa e tuttavia più che appropriata visto l’argomento e lo svolgimento del tema. Che in realtà altro non è se non la tesi di laurea che discusse nel 2009 il compianto Roberto Delera, allora 56enne, giornalista di valore, amico prematuramente scomparso nel maggio scorso.
Pubblicarla, seppur per un circuito ristretto, è stato un bellissimo gesto di memoria da parte di Betti Guetta, la moglie di Roberto, la madre di suo figlio, e a lei va il mio grazie. Perché in queste cento pagine c’è un pezzo di storia dell’ebraismo italiano, di una fetta minoritaria dell’ebraismo italiano, un pezzo di storia della sinistra di questo paese e c’è anche un pezzetto di storia della sinistra israeliana. Insomma c’è la nostra storia, la mia storia. Una vicenda che in questi ottusi periodi di appiattimenti “da schieramento” sarebbe veramente utile fosse conosciuta. È un racconto attento, documentatissimo, composto, se così si può dire scientifico, che interroga le coscienze collettive e individuali. Una narrazione che non fa sconti a nessuno. Ma Roberto conosceva, sapeva fino in fondo, cos’è la cultura della differenza, e la coltivava con lucida passione e con amore. Come bene scrivono Luigi Manconi e Gad Lerner nella prefazione, Roberto aveva colto appieno la solitudine degli ebrei di sinistra, “non dissimile dalla solitudine avvertita dai militanti della sua generazione che, come lui, non hanno sbrigativamente voltato le spalle ai valori in cui avevano creduto”. La lacerazione. L’essere stati tacciati di “tradimento” da una sinistra che per troppi lunghi anni ha tenuto chiusi occhi e cervelli (per poi, finalmente, aprirli) e da un ebraismo dominante che non ammetteva e accettava dubbi, sfaccettature, critiche alle politiche dei governi di Gerusalemme.
Una istantanea delle numerose che mi piacerebbe condividere ma che occuperebbero troppo spazio. “Il 29 aprile del 1991, accompagnato da Piero Fassino, Achille Occhetto, sul Monte Herzl pianta un ulivo, cui ne seguiranno molti altri, per dar vita a un “bosco della pace” in ricordo di Umberto Terracini e, poche ore dopo, riconosce gli errori fin lì commessi dai comunisti italiani nel giudicare il sionismo e Israele” (una svolta anticipata parecchi anni prima da Giorgio Napolitano. Ndr). Le lacerazioni iniziano a ricucirsi. La storia va avanti. E la speranza non muore. Anche per merito del lavoro di chi, come Roberto, ha imparato che in groppa all’asinello di Elisha si possono varcare confini rimanendo saldamente ancorati alle proprie origini.

Stefano Jesurum

Stefano Jesurum