I lupi solitari lasciano ora cadere la maschera e puntano a un nuovo terrorismo del branco
L’attentato alla Porta di Damasco, a Gerusalemme, in cui è stata uccisa la giovane agente di polizia Hadar Cohen ha posto diversi interrogativi alle autorità israeliane. Non era mai accaduto in questi mesi, dall’inizio della cosiddetta intifada dei coltelli (esplosa in ottobre), che tre terroristi palestinesi colpissero insieme, armati di fucili, coltelli ed esplosivo. “Siamo di fronte a un escalation rispetto a quanto accadeva in passato – ha dichiarato il vicecapo della polizia di Gerusalemme Avshalom Peled – Gli agenti di polizia hanno sventato un attacco combinato molto più grande rispetto al passato”. L’intenzione dei terroristi, morti nello scontro a fuoco con le forze di sicurezza israeliane, era di portare un attacco su larga scala, affermano le autorità, e solo l’intervento della polizia di frontiera ha evitato che i tre riuscissero nel loro intento. Nessuno di loro, a quanto risulta, era direttamente affiliato a organizzazioni terroristiche, il che rispecchia l’identikit degli attentatori palestinesi che hanno colpito in questi mesi di violenza. Diversa però la modalità di azione, sottolinea Amos Harel su Haaretz: nel caso della Porta di Damasco, l’attentato ha richiesto un piano ben preciso. Non si è trattato di un’aggressione con il coltello da cucina ma di un progetto studiato e che richiedeva una certa preparazione. I tre, provenienti dal nord della Cisgiordania, sono riusciti a evadere i controlli e passare oltre confine armati, arrivando fino a Gerusalemme. Lo Shin Bet sta indagando per capire quale sia stata la falla nella sicurezza, scandagliando in particolare l’area di Qabatiya, nel nord della West Bank, da dove provenivano due dei tre terroristi che hanno ucciso la diciannovenne Hadar Cohen.
“L’attacco bloccato dagli agenti di polizia e della guardia di frontiera, così come altri attacchi verificatisi nei giorni scorsi sono stati fatti con armi da fuoco e riflettono una transizione naturale della terza intifada”, scrive su Yedioth Ahronoth Ron Ben-Yishai, secondo cui l’attentato della Porta di Damasco potrebbe aprire il via alla costruzione di reti di gruppi armati locali palestinesi, al di fuori delle organizzazioni terroristiche tradizionali. La transizione a questa nuova fase, scrive Ben-Yishai, è dimostrata dall’esperienza storica: finché la guerriglia e il terrorismo hanno motivazioni forti, spiega l’analista, continueranno a cercare il modo più efficace per colpire il proprio nemico, senza badare al prezzo da pagare per farlo. Diversi opinionisti israeliani, infatti, sottolineano come l’intifada dei coltelli abbia una componente simile agli attentati suicidi, perché gli attentatori sono consapevoli che attaccando civili e soldati israeliani saranno con ogni probabilità uccisi. Questa idea distorta di martirio – come dimostrano proprio le violenze iniziate a ottobre – ha preso sempre più piede, trovando il desiderio di emulazione nelle fasce più giovani della società palestinese. Il problema posto da Ben-Yishai è che queste emulazioni si allarghino e riprendano lo schema dell’attentato della Porta di Damasco: le autorità israeliane in questo caso si troveranno di fronte non più a lupi solitari ma “branchi” sempre più organizzati di terroristi, con tutte le conseguenze che questo comporta sul fronte della sicurezza.