orecchio…
Un ebreo che desidera rinunciare alla libertà e preferisce rimanere assoggettato all’autorità di un padrone deve essere sottoposto, secondo la Torah (Shemòt, 21; 6), a un formale rito di legittimazione della sua schiavitù. Il padrone dovrà condurre il suo sottomesso davanti a un Tribunale, avvicinarlo a una porta e a uno stipite e perforargli l’orecchio con un punteruolo.
L’esegesi rabbinica indica nella porta la metafora della libertà poiché su di essa gli ebrei aspersero il sangue del sacrificio di Pesach la notte prima di uscire dall’Egitto; mentre l’orecchio, che sul monte Sinai ha udito parole di libertà, merita di essere perforato perché questo ebreo preferisce essere schiavo di un altro uomo piuttosto che del vero Padrone del mondo che lo ha liberato. L’orecchio è uno dei pochi organi del nostro corpo che altri possono vedere ma che noi stessi non riusciamo a guardare. Non è forse questa una delle dimensioni più paradossali di alcune forme di schiavitù e di sudditanza psicologica di cui spesso altri si rendono conto eccetto colui che le vive direttamente?
Roberto Della Rocca, rabbino
(9 febbraio 2016)