Qui Milano – I diritti, la libertà e la sicurezza
ai tempi del web 2.0
Internet è uno strumento oramai indispensabile nella nostra quotidianità e proprio per questo dobbiamo fare attenzione alle insidie che si nascondo nella realtà virtuale: così come nella vita reale, è necessario conoscere gli strumenti per difenderci da eventuali malintenzionati. E proprio l’importanza e la sensibilità di questo tema è stato al centro dell’appuntamento organizzato dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane assieme alla Comunità ebraica di Milano e alla Polizia di Stato dell’emblematico titolo “Sicurezza informatica, istruzioni per l’uso”, svoltosi presso i locali della scuola ebraica milanese. Un’occasione di analisi e di presa di coscienza delle potenzialità ma anche delle problematiche che il mondo di internet e in particolare dei social network comportano, “un confronto con degli esperti sulla nostra identità digitale”, ha sottolineato l’assessore al Bilancio UCEI Noemi Di Segni, che ha moderato l’incontro. Dopo i saluti del vicepresidente dell’Unione Roberto Jarach e dei presidenti della keillah milanese Raffaele Besso e Milo Hasbani (che ha inviato un messaggio), l’incontro si è aperto con la riflessione del direttore della redazione giornalistica dell’UCEI, Guido Vitale, a cui sono seguiti gli interventi del dirigente della Polizia di Stato Salvatore Labarbera, del ricercatore del Cdec Stefano Gatti e dell’esperto di sicurezza digitale Simone Tedeschi.
“Quelle della sicurezza sul web sono tematiche su cui la Comunità ebraica di Milano è molto sensibile”, ha affermato Besso, sottolineando l’attenzione che da sempre vi viene rivolta. Un impegno fondamentale anche a livello nazionale ed europeo, ha quindi aggiunto Jarach. “L’Unione è coinvolta in prima persona nella gestione della sicurezza delle singole Comunità – le sue parole – e lo stesso avviene per le singole realtà nazionali all’European Jewish Congress”, di cui Jarach è nuovo membro del Consiglio.
“Cinque anni fa, ho detto, ‘Se volete liberare la società, tutto ciò che vi serve è Internet’. Oggi, penso che se vogliamo liberare la società, dobbiamo prima liberare l’Internet”. Sono le parole di
Wael Ghonim, l’ingegnere informatico di Google il cui attivismo via social network fu all’origine delle primavere arabe nel 201
A introdurre il tema del complesso rapporto tra mondo virtuale e democrazia è stato Vitale, che ha ricordato le parole dell’attivista e ingegnere informatico Wael Ghonim, i cui post sui social avviarono la primavera araba egiziana: “Cinque anni fa, ho detto, ‘Se volete liberare la società, tutto ciò che vi serve è Internet’. Oggi, penso che se vogliamo liberare la società, dobbiamo prima liberare l’Internet”, affermerà Ghonim.
Della legislazione vigente a tutela degli utenti e delle modalità di contrasto contro le violazioni sul web ha parlato invece Labarbera. Andando a fondo di quella che è l’attività di pubblica sicurezza sul web della Polizia Postale, sia nell’ambito della prevenzione sia in quello delle sanzioni dei reati informatici, ha spiegato come la chiave di questo impegno sia l’esigenza di trovare un bilanciamento tra gli interessi di chi diffonde contenuti sul web e chi li riceve: “Chi usa internet intende esercitare la propria libertà di espressione, ma allo stesso tempo desidera non subire alcuna violazione”. Regole che valgono anche per l’ambito del giornalismo, ha sottolineato Labarbera, dove l’esercizio del diritto di cronaca, critica e manifestazione del pensiero non deve sfociare nella diffusione di notizie false, nella propaganda o nella diffamazione. I giornali online sono sottoposti alle leggi sull’editoria, ha aggiunto Labarbera, mentre altri luoghi di comunicazione – quali blog, newsletter, o forum – non vengono inclusi nel concetto di stampa.
Quello del giornalismo è dunque un mondo i cui confini e le cui potenzialità comunicative si espandono sempre di più, e in questo contesto non è concesso accantonare l’uso o anche sottovalutare il ruolo dei social network all’interno della società, come ha osservato Vitale. “Non è possibile restarne fuori, né come cittadini né come giornalisti”, ha detto. “Come minoranza ebraica dobbiamo tuttavia portare l’esempio di una comunicazione diversa – ha continuato – essere noi stessi, senza sottometterci alle regole di una cultura dominante che vorrebbe farci essere come lei, ma vivendo nel nostro futuro e conservando la dignità del nostro messaggio”. Importante è tuttavia essere consapevoli anche dei pericoli, che in particolare per la minoranza ebraica riguardano i fenomeni di incitamento all’odio razziale, per prevenire e punire i quali – ha sottolineato Labarbera – la Polizia compie un monitoraggio informatico costante che ha portato all’oscuramento di alcuni siti.
Un’attività di controllo attuata anche dall’Antenna Antisemitismo, l’osservatorio della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea nato con il sostegno dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, che raccoglie dati sugli episodi di antisemitismo in Italia attraverso le segnalazioni degli utenti. A raccontarne il lavoro il ricercatore Stafano Gatti, che ha offerto una panoramica di quali siano le forme più comuni di antisemitismo in rete. Tra i pregiudizi più diffusi nel paese, ha affermato, vi sono quelli “a sfondo neonazista e di tradizione cattolica, il negazionismo, il collegamento con l’antisionismo e le teorie cospirativiste”. Per questo è necessario che gli ebrei italiani imparino a proteggersi attraverso strumenti che ne garantiscano il rispetto della privacy e la tutela dei dati, altrimenti molto facili da rintracciare. A questo scopo Simone Tedeschi ha fornito al pubblico alcune informazioni pratiche su tali misure, in particolare nell’uso di social network come Facebook. “Troppo spesso si tende a considerare Facebook come un luogo dove avviene una conversazione tra amici – il suo monito – ma non ci si rende conto di quanto i social siano invece aperti”.
Francesca Matalon twitter @fmatalonmoked
(9 febbraio 2016)