Periscopio
Azioni e reazioni
Qual è il comportamento umanamente giusto, ragionevole, corretto, da apprezzare o, almeno, da comprendere, di fronte a un’offesa subita? E qual è invece la reazione sbagliata, irrazionale, violenta, da biasimare o condannare? Bisogna giustificare, dimenticare, perdonare, porgere evangelicamente l’altra guancia, o si può rispondere, in qualche modo, all’offesa? E, nel secondo caso, fino a che punto si può reagire, in che misura, con che modi, con quale spirito? Giustizia o vendetta? Reazione proporzionale (“occhio per occhio…”) o moltiplicata (due volte, tre volte tanto…)? E si può reagire solo alle offese subite direttamente, o anche a quelle portate ai propri genitori, nonni, antenati, o, in genere, al proprio gruppo di appartenenza? E fino a quando, nel ricordare e vendicare le offese subite, è lecito risalire indietro nel tempo?
Un personaggio molto famoso, e molto pacifico, di recente, ha detto pubblicamente che, se qualcuno offende sua madre, “gli spetta un pugno”, ed è noto come il dibattito, in materia, sia antico quanto l’umanità, la cui storia ci offre un’infinita gamma di possibili reazioni, squadernandoci innumerevoli casi di ingiurie, anche gravissime, rimaste senza alcuna riparazione (in genere perché la parte offesa non aveva la capacità di reagire) e un altrettanto nutrito elenco di vicende nelle quali a un’offesa, grave o anche lieve, sono seguite spietate vendette, stragi cruente, guerre sterminatrici, in grado di moltiplicare il male originario per dieci, cento, un milione di volte.
È facile immaginare che, finché esisterà l’umanità, i punti di vista in materia saranno sempre discordi, dal momento che ci saranno sempre uomini pacifici e violenti, deboli e forti, mansueti e collerici, razionali e irrazionali, i cui comportamenti saranno sempre diversi, a volte completamente opposti gli uni dagli altri. In linea di massima, si può dire che, nella maggioranza dei casi, un soggetto mediamente normale (escludendo quindi categorie particolari quali santi, pazzi, mostri, ebeti ecc.) è generalmente portato a guardare con severità le offese subite da lui medesimo o dai propri congiunti, per le quali ritiene in genere giusta una reazione di risposta (“chi offende mia mamma, gli spetta un pugno”, non “se offendo la mamma di qualcuno, mi spetta un pugno”), mentre, al contrario, è portato a minimizzare le offese portate da lui (o dai suoi congiunti) ad altri, le cui corrispondenti reazioni sono pertanto facilmente considerate sproporzionate, eccessive e biasimevoli (“hanno dato un pugno a mio figlio! e non aveva fatto assolutamente nulla, aveva solo scherzato sulla mamma del suo amichetto!”). Tutto ciò è assolutamente umano, lo capisce anche un bambino, è sempre stato così e sarà sempre così.
Ci sono però, in questa eterna oscillazione di giudizio, due eccezioni, e due sole, che riguardano due particolari popoli della Terra, riguardo ai quali il meccanismo azione-reazione viene sempre giudicato da tutti, o quasi, in un modo molto netto e preciso, senza alcun dubbio e nessuna oscillazione. E si tratta di due modi assolutamente opposti. Per uno di questi due popoli, infatti, qualsiasi offesa subita, oggi come ieri, anche in un passato remoto o remotissimo, merita di essere ricordata per sempre, e chiede di essere vendicata, in ogni modo possibile, possibilmente in misura esponenziale. Ogni esponente di questo popolo – adulto, ragazzo, bambino -, anche se personalmente non abbia mai subito niente di male, è pertanto sempre legittimato a reagire con violenza a scopo vendicativo, anche attaccando soggetti che non c’entrano nulla con le offese del passato. Può quindi colpire, sparare, accoltellare chi gli pare, e la sua azione dovrà essere, come minimo, se non elogiata, almeno giustificata, compresa, contestualizzata, in quanto è sempre una ‘reazione’. Ho scritto che la sua ‘azione’ sarà giustificata, ma mi rendo conto di avere sbagliato, perché questo popolo non può mai, neanche volendo, fare ‘azioni’ (passibili, a loro volta, di appropriate ‘reazioni’), ma può esclusivamente avere ‘reazioni’ ad azioni altrui.
E la parola ‘altrui’ ci porta all’altro popolo, che è legato al primo a filo doppio, ma il cui destino pare decisamente opposto. Qualsiasi offesa abbia subito questo popolo (e, se non mi sbaglio, mi pare che ogni tanto pure esso abbia sopportato qualche piccola molestia, anche se si tratta certamente di sciocchezzuole), è assolutamente tenuto, sempre, a dimenticare e perdonare, e non può mai, assolutamente mai, avere alcuna reazione. Per questo popolo non esistono mai ‘reazioni’, ma sempre ed esclusivamente ‘azioni’, in grado di suscitare giustificate e legittime reazioni vendicative.
Come mai tutto questo? Verrebbe da dire che il secondo popolo (il popolo “senza reazioni”) sta molto antipatico a quasi tutti, ed è probabilmente vero. Ma sbaglierebbe chi ritenesse che il primo popolo è amato. Non lo è affatto, la sua triste condizione di “popolo senza azioni” lo condanna anzi a un tragico presente e un altrettanto tragico futuro, nel beato compiacimento del resto del mondo, che proprio questo sembra desiderare.
Francesco Lucrezi, storico
(10 febbraio 2016)