Qui Ferrara – Resistenza, superare la retorica

IMG_20160215_180417_editAl di là delle retoriche e delle pericolose strumentalizzazioni, è necessario studiare a fondo cosa è stata la Resistenza, qual è il suo significato e come agirono gli uomini che ne fecero parte, ebrei e non. In Italia in particolare ma anche in Europa. Un tema complesso e delicato su cui il convegno internazionale di Ferrara “Resistenza ebraica in Europa”, promosso dal Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah (MEIS) assieme all’Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara e al Memorial de la Shoah di Parigi, ha avuto il merito di aprire una finestra. Un’iniziativa curata dal comitato scientifico formato da Anna Quarzi, Laura Fontana e Alberto Cavaglion che ha visto confrontarsi storici internazionali e italiani. Se la prima sessione infatti è stata dedicata al rapporto tra Resistenza ed ebrei in Francia, Germania e Polonia – con gli interventi rispettivamente di Renée Poznanski, della Ben Gurion University del Negev, di Beate Kosmala, del German Resistance Memorial Center di Berlino, e Edyta Gawron, della Krakow Jagellonian University -, la seconda si è focalizzata sull’intreccio tra mondo ebraico, antifascismo e Resistenza. A discuterne, Matteo Stefanori, dell’Università della Tuscia, Antonella Guarnieri, responsabile Museo del Risorgimento e della Resistenza di Ferrara, e Cavaglion, docente dell’Università di Firenze, protagonista anche del dibattito con le ospiti internazionali moderato dal Consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Liliana Picciotto, responsabile della ricerca scientifica del CDEC Milano.
“Dobbiamo interrogarci su cosa significa Resistenza e su quale sia il suo opposto: la passività? Ma anche per questa, cosa intendiamo?”. Gli interrogativi posti da Poznanski che nel suo intervento ha ricordato come i partigiani francesi non avessero tra gli obiettivi il salvataggio degli ebrei. “La Resistenza francese – ha spiegato la studiosa – non si occupò degli ebrei. Temeva di inimicarsi il popolo animato da sentimenti antisemiti. A cercare di metterli in salvo, furono le organizzazioni umanitarie”, come la Desalem ricordata da Liliana Picciotto. L’analisi della Poznanski trova un rimando nell’analisi di Alberto Cavaglion, che ha ricordato le amare considerazioni di Enzo Forcella. Quest’ultimo avvisò, spiega lo storico, che non solo dei silenzi del Vaticano di fronte alla persecuzione ebraica bisognava discutere ma anche di quelli della Resistenza. “A Roma anche dalle finestre del Cln si vide cosa stava accadendo il 16 ottobre 1943 (la deportazione degli ebrei di Roma) ma nessuno fece nulla”. “Questa indifferenza – scriverà Forcella – rientrava nella generale sottovalutazione della immane tragedia ebraica che caratterizza tutta la vita pubblica italiana sino alla fine della guerra e oltre”. Un oltre che arriva fino all’attualità, e che apre molti interrogativi su cui, hanno ricordato gli storici a Ferrara, è necessario soffermarsi per aprire un nuovo capitolo sullo studio della Resistenza. Purché fatto senza strumentalizzazioni, retoriche o tentativi di distorcere i fatti pur di creare polemiche. Ancora vengono in aiuto le parole del passato, quelle scritte da Emanuele Artom nel suo Diario: “Bisogna scrivere questi fatti, perché fra qualche decennio una nuova retorica patriottarda o pseudoliberale non venga a esaltare le formazioni dei purissimi eroi: siamo quello che siamo: un complesso di individui in parte disinteressati e in buona fede, in parte arrivisti politici, in parte soldati sbandati che temono la deportazione in Germania, in parte spinti dal desiderio di avventura, in parte da quello di rapina. Gli uomini sono uomini”.


d.r.

(16 febbraio 2016)