Geografia inattuale
Diciamolo: insegnare geografia di questi tempi è una missione impossibile. Non tanto perché la riforma Gelmini ha dimezzato le ore, con il risultato che molti insegnanti si limitano a far fare agli allievi ricerche autonome sui singoli Paesi o aree geografiche (mi vengono i brividi a pensare cosa possa venir fuori su Israele). E neppure perché i testi di geografia sono smaccatamente e spudoratamente ideologici, e spesso selezionano le informazioni in funzione della tesi che intendono sostenere: in molti casi queste tesi sono largamente condivisibili, e forse una certa dose di dogmatismo politically correct è necessaria per sottolineare che certi pregiudizi (per esempio contro gli immigrati) non possono trovare posto in una scuola che deve essere di tutti. Ma già le tirate contro la globalizzazione o gli ogm (le ultime due lezioni che mi sono capitate) lasciano molto perplessi. Figuriamoci poi cosa non viene fuori quando si cerca di concentrare in due o tre pagine conflitti complessi come quelli mediorientali.
Il problema principale, comunque, è ancora un altro: i libri non sono minimamente in grado di tener dietro alla velocità dei mutamenti in atto nel mondo di oggi. Paesi che appaiono e scompaiono dalle carte geografiche, secessioni e invasioni, guerre e trattati di pace, economie in forte crescita che di colpo entrano in crisi, mete turistiche che improvvisamente diventano impraticabili. Un libro vecchio di due o tre anni è praticamente inservibile. Bisognerebbe avere il coraggio di ammettere che insegnare la geografia come si faceva fino a poche decine di anni fa oggi non ha più senso, anzi, è diseducativo, perché significa fornire una serie di informazioni non più veritiere e pretendere pure che gli allievi le studino e le ripetano. Bisognerebbe avere il coraggio di riconoscere che l’unica geografia che si può ancora insegnare senza perdere la faccia è la buona, vecchia, geografie fisica. È vero che sia gli insegnanti sia gli autori dei libri di testo di solito hanno una formazione umanistica e non amano questi temi, ma in fin dei conti cosa c’è di male a imparare dove sono il Reno e il Danubio? Almeno sono informazioni che tra cinque o dieci anni non saranno diventate del tutto inutilizzabili.
Anna Segre, insegnante
(19 febbraio 2016)