Spotlight – Who’s gonna love Junction 48?
La Berlinale nel segno d’Israele

junction-48-udi-aloni-l-r-regisseur-produzent-tamer-nafar-schauspieler-co-autor-samar-qupty-schauspielerin-100-_v-standard644_6d5bf4Oltre cinquanta pellicole provenienti da trentatré paesi differenti.
Alla 66esima edizione del Berlinale, una delle kermesse più prestigiose d’Europa appena conclusasi, i film israeliani tornano a casa vittoriosi con ben due premi nella sezione Panorama, dedicata al cinema straniero, e sbaragliando la concorrenza.
Ad aver vinto il premio del pubblico sono stati “Junction 48” di Udi Aloni e il documentario “Who’s gonna love me now?” diretto dai fratelli Barak e Tomer Heymann.
Al centro di “Junction 48”, la storia di un cantante hip hop palestinese della città araba-israeliana di Lod – interpretato dal frontman del gruppo Dam, Tamer Nafar – che sceglie la strada della musica per esprimere il disagio della sua generazione e fare una denuncia sociale che colpisce sia la politica israeliana sia la gerarchia patriarcale e oppressiva sulla quale si sostiene il villaggio arabo di provenienza.
Nel presentare il proprio lavoro alla stampa, il regista – che è il figlio di Shulamit Aloni (1928-2014), ex ministro dell’Educazione israeliana e leader del partito di sinistra Meretz – ha criticato aspramente la politica adottata dal premier Benjamin Netanyahu, polemizzando da Berlino sui rapporti diplomatici tra Israele e Germania, e ricevendo una altrettanto dura risposta da Gerusalemme. Aloni, il cui film è stato in parte finanziato dal ministero della Cultura israeliano, ha poi però voluto rettificare le sue dichiarazioni specificando che il proprio commento era rivolto contro il governo attuale “e non contro il Paese, che amo”, aggiungendo che il suo film vuole “lanciare un messaggio di coesistenza”. A riportare l’attenzione sulla pellicola, l’attrice Samar Qupty che ne ha sottolineato la natura “rivoluzionaria”: “Stiamo rappresentando noi stessi – ha spiegato – senza cercare di dimostrare niente a nessuno. Vogliamo introdurre quella che è la vera nuova generazione senza che la realtà sembri peggiore o migliore”.
Tornano a casa con la vittoria in tasca anche Barak e Tomer Heymann, quest’ultimo già premiato al Berlinale nel 2006 con “Paper dolls”, dedicato al mondo transgender. Con “Who’s gonna love me now?”, i due fratelli registi raccontano la storia di Saar, un ragazzo cresciuto in un kibbutz i cui genitori non hanno mai accettato l’omosessualità. Dopo essersi trasferito a Londra e aver condotto una vita sregolata, la scoperta di aver contratto l’AIDS lo farà riflettere su se stesso, il futuro e le scelte; spingendolo a tornare a fare i conti con la famiglia e le proprie origini. Un film – lo ha presentato il Festival – “che attraverso numerose scene corali, energiche e commoventi, rafforza il messaggio di fondo attraverso un’espressione particolarmente appassionata”.

r.s. twitter @rsilveramoked

(Nell’immagine il regista Udi Aloni con i due attori protagonisti)

(22 febbraio 2016)