Periscopio
L’impegno di conoscere
Viene oggi presentato, nei locali della Comunità Ebraica di Napoli (per iniziativa della stessa Comunità, nonché delle locali Associazioni Adei-Wizo e Italia-Israele) il libro di rav Roberto Della Rocca Con lo sguardo alla luna. Percorsi di pensiero ebraico (Ed. Giuntina), di cui già si è avuto modi di parlare su queste colonne.
L’ampiezza e l’importanza dei temi trattati – che vanno dalla filosofia all’astronomia, dall’etica all’esegesi testuale, dalla storia all’antropologia -, la profondità e l’acutezza dell’analisi e l’eleganza e la scorrevolezza della scrittura fanno, a mio parere, del volumetto un lavoro davvero prezioso, che riesce a racchiudere, nello spazio ristretto di quindici, agili capitoletti, delle vere piccole perle di saggezza, invitando il lettore ad andare alla radice di problemi connessi non soltanto all’identità ebraica, ma anche, più in generale, alla collocazione dell’uomo nel creato, e alle sue responsabilità verso se stesso, il suo Creatore, i suoi simili, nonché verso le generazioni passate e quelle avvenire.
Particolarmente suggestive, in particolare, le pagine dedicate dall’autore alle questioni del flusso e della scansione del tempo, della costruzione del futuro e dell’elaborazione della memoria, nelle quali il mistero della fragilità e della grandezza della condizione umana, sospesa tra caducità terrena e ansia di assoluto, viene affrontato con parole di grande intensità, soffuse, talvolta, di un tono di poesia.
Si tratta di un’opera dal forte contenuto etico, che non chiede soltanto di essere letta, ma impone al lettore di prendere posizione sui temi trattati, sollecitando vigilanza, impegno, partecipazione. Da questo punto di vista, il pensiero dell’Autore, proprio in quanto ‘ebraico’, appare esprimere con particolare forza la valenza universale dell’ebraismo, dal momento che accompagna verso un tragitto di conoscenza e di rigenerazione che è aperto a tutti gli uomini di buona volontà. Viene da chiedersi, perciò, cosa voglia intendere esattamente il sottotitolo del libro, Percorsi di pensiero ebraico. Pensieri ‘umani’ ‘sull’ebraismo’? O pensieri ‘ebraici’ su tematiche ‘umane’? O entrambe le cose? Ma, se esiste, indubbiamente, un popolo ebraico, una religione ebraica, uno Stato ebraico, può parlarsi anche di un ‘pensiero ebraico’? E in che senso? È il contenuto che qualifica il pensiero, o il modo di pensare?
Si tratta di domande aperte, a cui è possibile dare una molteplicità di risposte.
Certamente, se si afferma l’esistenza di un pensiero ebraico, sarà molto difficile, nel momento che si voglia passare a darne una definizione, trovare due sole persone, ebree o non ebree, che lo facciano nello stesso modo. Per quanto mi riguarda, la lettura del libro di rav Della Rocca mi suggerisce diverse connotazioni di un tale pensiero, tra le quali, però, una mi pare prevalente, ed è quella del suo indissolubile legame con la scrittura, da una parte, e, dall’altra, della sua natura necessariamente attiva, propositiva. Il pensiero ebraico cerca sempre la parola scritta, per interpretarla, interrogarla, sviscerarla, per poi confluire, sempre, in altre parole, altre scritture, in un’ininterrotta catena di domande, risposte e nuove domande.
E le parole, in questo processo senza fine, non possono mai fermarsi a una funzione meramente contemplativa o ornamentale, di natura estetica, ma devono sempre tradursi in un messaggio di tipo etico, che chiama l’uomo ad agire, a trarre le conseguenze di quanto appreso. Non è possibile, per il pensiero ebraico, che qualcosa venga insegnato, e venga appreso, senza che niente ne derivi sul piano del pratico agire quotidiano. Come la lettura della Torah, l’attività ebraica per eccellenza, anche ogni altro tipo di ‘pensiero ebraico’ è non solo speculazione teorica, ma anche memoria, identità, coscienza, azione.
È un richiamo che magari può non essere ascoltato al momento, ma che tuttavia esiste, e, prima o poi, tornerà a indicare la strada: al pari della luna, che – come ricorda rav Della Rocca – scandisce sempre il nostro tempo, anche quando non si vede, e, diversamente dal sole, sbiadisce, ma non tramonta.
L’Autore mette in guardia, nella prefazione al volume, dalla costruzione di una “religione della Shoah” che valga da “scorciatoia identitaria”, essendo certo la commemorazione delle sofferenze subite più facile di una “militanza ebraica attiva”. Tale considerazione può valere, in parte, anche per i non ebrei, giacché, se la lotta contro l’antisemitismo, nelle sue innumerevoli forme, resta, a mio giudizio, una priorità essenziale (in nome di quella che chiamerei una “militanza umana attiva”), è vero che essa non dovrebbe distogliere da un impegno di studio e conoscenza dell’ebraismo, nei suoi immensi tesori di sapienza, come realtà positiva, vivente, che parla a tutti gli uomini.
Continueremo a leggere e a meditare sul libro di rav Della Rocca, perciò, considerandolo proprio come un invito, fermo e sereno, in questa direzione.
Francesco Lucrezi, storico
(24 febbraio 2016)