chassidim…

Il 22 febbraio 2016, 13 di Adar 5776 è venuto a mancare l’Admor di Arloi, il Rebbe Jochanan Sofer, capo spirituale della chassidut di Arloi, discendente del Chatam Sofer che fu nel 1800 capo della comunità, maestro, giudice e capo del Bet Din della città di Pressburg ovvero Bratislava.
Di fatto l’Admor di Arloi era nato nel 1923 in Ungheria, aveva studiato e si era formato nell’ambito della propria famiglia, sopravvivendo alla guerra che gli aveva distrutto la famiglia e decidendo di emigrare in Israele dove creò i presupposti di questa ‘nuova chassidut’, nuovo gruppo di chassidim con usi presi da differenti gruppi chassidici con i quali l’Admor era venuto in contatto ed aveva studiato e vissuto.
La sede della chassidut Arloi non è né a Gheula, né a Mea Shearim, né in nessuno dei quartieri ‘socialmente’ ultraortodossi di Gerusalemme, ma nemmeno a Benè Berak, sobborgo charedì di Tel Aviv.
Sede della chassidut di Arloi è il quartiere della vecchia Katamon a Gerusalemme, un quartiere caratterizzato da una realtà differenziata con abitanti osservanti, ma anche non osservanti e, se osservanti, con mille sfumature diverse: kippot da molti colori e grandezze, donne che indossano pantaloni e portano i capelli coperti, donne senza testa coperta, uomini e donne con jeans o con canotta mentre fanno footing di Shabbat mattina.
In questo quartiere così ibrido, così santo, così peccaminoso, così osservante eppure così laico pregano, studiano e vivono i chassidim di Arloi per volontà del loro Rebbe.
Un Rebbe che decise di essere una guida spirituale per i suoi chassidim, ma non lontano dal resto del popolo ebraico e dei gerosolimitani in genere.
Un Rebbe che scelse di non difendere la propria chassidut con i muri, quanto piuttosto con valori.
Una chassidut che si è sempre aperta al quartiere in momenti gioiosi come Simchat Torah, Sukkot e Channukkah. Ecco perché mentre ero al commiato del Rebbe, non ero l’unico non chassid tra il folto pubblico, ma con me ed intorno a me c’erano kippot di ogni grandezza e di ogni colore, uomini e ragazzi sefarditi, ashkenaziti, italkim, buchari, marocchini, tunisini, israeliani di ottava generazione… in una parola la gente del quartiere. E mentre altri maestri chassidici pronunciavano gli elogi funebri per il Rebbe di Arloi ed i suoi chassidim singhiozzavano la morte del loro ‘padre’, ho pensato a quante energie spendiamo per costruire ponti con il mondo ebraico meno osservante, più distante e meno raggiungibile, quando dovremmo anche pensare ai ponti da costruire con il mondo chassidico, con il mondo che pur credendo fermamente in un ebraismo di stretta osservanza non ha posto questa stretta osservanza come un confine, quanto piuttosto come un modus vivendi legittimo che non offende, né delegittima quello altrui.

Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino

(26 febbraio 2016)