Discriminazioni

annasegreSe su un aereo ci chiedessero di cambiare posto perché il nostro vicino non desidera sedere accanto a un ebreo accetteremmo di buon grado o lo giudicheremmo un atto di antisemitismo?
E lo giudicheremmo diversamente se la richiesta di cambiare posto ci fosse rivolta gentilmente oppure se il nuovo posto fosse migliore?
E se qualcuno sostenesse che non si può parlare di discriminazioni poiché noi abbiamo accettato spontaneamente di cambiare posto (credo sia probabile che accetteremmo: chi di noi insisterebbe per viaggiare accanto a un antisemita?), riterremmo questa obiezione valida?
E se la persona che non ha piacere di sederci accanto (o chi la difende) ci accusasse di essere intolleranti perché non stiamo rispettando la sua sensibilità religiosa e le sue convinzioni, ci scuseremmo per la nostra mancanza di rispetto o ne trarremmo motivo di ulteriore indignazione?
Credo di sapere come risponderemmo a queste domande.
Invece, chissà perché, se al posto di ‘ebreo’ si scrive ‘donna’ le cose diventano improvvisamente meno chiare, persino su questa newsletter.
Personalmente trovo profondamente inquietante l’idea che su un aereo, un autobus, o qualunque altro mezzo di trasporto pubblico qualcuno possa chiedermi di cambiare posto per rispettare il diritto di qualcun altro a non avermi al suo fianco; e dal mio punto di vista sarebbe irrilevante quale sia la ragione del suo rifiuto nei miei confronti.
Un paragone forzato e paradossale? Francamente l’ipotesi che qualcuno possa chiedere a un ebreo di cambiare posto su un mezzo pubblico per rispettare le idee e le credenze del suo vicino antisemita non mi pare affatto avulsa dalla realtà. Per questo mi sembra molto pericoloso offrire una sorta di legittimazione a chi in nome delle proprie credenze e convinzioni pretende di imporre vincoli e restrizioni al suo prossimo al di fuori di qualsiasi legge.

Anna Segre, insegnante

(4 marzo 2016)