…Sefer
La recente scoperta che un Sefer Torah completo e in uso – restaurato dal sofèr Rav Amedeo Spagnoletto per la sinagoga di Biella – è databile attorno al 1250 (!), non può non indurre ad alcune considerazioni sulla centralità del lavoro sui beni culturali ebraici. Non si tratta solo di gloriarsi di un inarrivabile passato (in effetti non ci sono altri esempi al mondo di un rotolo così antico, completo e in uso come quello piemontese). Si tratta di capire che la gestione e la valorizzazione di questo patrimonio può giocare un ruolo fondamentale per dare un senso, una direzione, alla vita degli ebrei che hanno abitato e che abitano questa Penisola.
L’Italia – l’ho già scritto altrove – senza i suoi ebrei sarebbe stata diversa da quella che è adesso; specularmente, anche il mondo ebraico e la sua tradizione senza l’esperienza italiana non sarebbero quello che sono. Basterà fare qualche esempio: senza l’avventura tipografica dei Soncino e poi di Bomberg fra il 1519 e il 1523 oggi il Talmud si studierebbe in maniera diversa, probabilmente privo dei commenti di Rashi e delle Tosafòt. Senza i rabbini veneziani, la rinascita ebraica dei marrani emigrati ad Amsterdam nel ‘600 non sarebbe avvenuta, e senza quella non ci sarebbe stata la straordinaria ricchezza della produzione tipografica olandese di quel secolo. E ancora, l’influenza straripante delle forme e della cultura italiana dell’umanesimo e del rinascimento hanno prodotto le magnifiche decorazioni presenti nelle ketubbòth, nei frontespizi dei libri, nei manoscritti miniati, e hanno dato forma alle più belle fra le forme architettoniche che decorano le sinagoghe e gli aròn haqòdesh. Nei musei ebraici di mezzo mondo i pezzi italiani sono quelli più pregiati e ricercati.
Si tratta in sostanza di un patrimonio di enorme rilievo, che non solo racconta molte storie, ma che dà senso al presente. La nascita di nuove professionalità e la valorizzazione di mestieri antichi (ad esempio, appunto, il sofèr, colui che scrive e corregge i manoscritti ebraici) rientra a pieno titolo in una dinamica economica e sociale che non può che avere ricadute positive anche sul futuro delle giovani generazioni. Conservatori museali, chimici, esperti di comunicazione e di web-design, catalogatori, storici dell’arte, architetti, allestitori, organizzatori culturali, restauratori, archivisti, bibliotecari, fotografi, artisti, musicisti. Sono solo alcuni dei nuovi mestieri possibili, che dovrebbero essere attivabili se si volesse veramente investire con una progettualità di ampio respiro indirizzata alla valorizzazione di un patrimonio che è qui, sotto gli occhi di tutti, ma di cui ci accorgiamo solo in occasione di eventi speciali.
Ma si tratta di volerci investire seriamente, sul piano economico e politico. È infatti la politica (in cui comprendo i vertici delle comunità ebraiche) che dovrebbe compiere quello scatto di mentalità che ancora manca. Solo dando un segnale forte si può pensare di poter raccogliere (magari con il crowdfunding che è stato tentato senza successo per il Sefer Torah di Biella) i fondi anche di privati necessari ad avviare una progettualità di lungo periodo. Sono convinto che alla lunga ci arriveremo, anche in Italia, nonostante le immotivate resistenze di chi pensa che occuparsi di beni culturali ebraici sia solo un vecchio esercizio di un ebraismo morente e volto con lo sguardo al passato.
Gadi Luzzatto Voghera
(4 marzo 2016)