Periscopio Paesaggi d’Egitto
Nella millenaria storia e memoria del popolo ebraico, com’è noto, nessun Paese è altrettanto gravido di evocazioni, storie, ricordi, al pari dell’Egitto. In Mizrahìm, in Egitto i figli di Giacobbe trovarono scampo dalla carestia che affliggeva la terra di Canaan, e lì i loro discendenti prolificarono e si formarono in tribù; attraverso la fuga dall’Egitto, diventata intanto “casa degli schiavi”, gli ebrei trovarono unità e dignità di popolo; nell’età ellenistica e romana, ad Alessandria fiorì per secoli, prima e dopo la distruzione del Tempio del 70, una ricca e potente comunità ebraica, rivale di quella di Giudea, nella quale si formò una tradizione culturale e religiosa, quella del giudaismo ellenizzato, segnata da caratteri di grande autonomia e diversità – basti pensare a Filone Alessandrino – rispetto a quella gerosolimitana; ai tempi dell’Islam, sulle rive del Nilo gli ebrei vissero a lungo tra gli arabi, spesso in pace e anche in condizioni di relativo benessere; lì trovarono rifugio e accoglienza, nel 1140-41, il poeta Yehuda Halevi e il grande Maimonide, esuli dalla Spagna; ancora ad Alessandria, nel 1165, Beniamino de Tudela contò 3000 ebrei, e altri 7000 a Fustāt, l’antica Cairo, riuniti intorno a due grandi sinagoghe, che Beniamino indicò come degli “israeliti” e dei “babilonesi” (a seconda del Talmùd seguito, gerosolimitano o babilonese); numeri che saliranno, nel XIX secolo, fino a raggiungere, forse, le 100.000 unità. Con la formazione del moderno Israele, l’Egitto è tornato a diventare lo storico nemico, capofila degli eserciti avversari, e gli ebrei che vi vivevano sono stati cacciati dalle loro case, ponendo fine a una millenaria continuità; dall’Egitto, nel 1967 e poi nel 1973, sono venuti degli attacchi mortali contro la patria degli ebrei; ma è ancora dall’Egitto che è poi arrivata una prima speranza di pace, che, quantunque fragile e contrastata, non si è ancora spenta; e, al giorno d’oggi, chiunque voglia decifrare il complicato stato della situazione in quella tormentata parte del mondo, deve ancora, innanzitutto, partire dall’analisi dei rapporti tra i popoli e le nazioni dei due fratelli del libro dell’Esodo, Ramses e Mosè.
Pur allontanati con la forza da una patria diventata ingrata e nemica, gli ebrei d’Egitto emigrati in Israele e altrove avrebbero sempre conservato un forte, particolare legame con la loro terra di origine, dando luogo a un legame potente e doloroso, intriso di nostalgia e amarezza, rimpianto e dolore, che avrebbe permeato di sé pagine di poesia nelle quali – come nei versi di Édmond Jabès – i paesaggi d’Egitto – il deserto, la sabbia, il mare, il silenzio – sarebbero assurti a metafora di una condizione umana in perenne sospensione tra desiderio e abbandono, radicamento e spaesamento, esilio e memoria.
Alle opere di questi scrittori e poeti – ebrei d’Egitto emigrati, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, in Israele e in Francia, e loro discendenti, molti dei quali non adeguatamente conosciuti nel nostro Paese – ha dedicato un toccante libro Tiziana Carlino, dottore di ricerca in Letterature comparate e raffinata studiosa di letteratura ebraica moderna e contemporanea: I libri del ricordo. Gli ebrei d’Egitto tra narrazione e memoria culturale, Edizioni Lampi di stampa, prefazione di Francesco De Sio Lazzari. Un volume scritto non solo con grande perizia, ma, soprattutto, con grande sentimento, che dà un rilevante contributo non solo alla conoscenza di componimenti artistici di rara bellezza e intensità, che meritano di essere più estesamente letti e studiati, ma anche a una più approfondita comprensione dell’ebraismo sefardita nel suo complesso, nonché delle stesse identità ebraica e israeliana contemporanee. Di grande interesse, per esempio, le considerazioni riguardo alla grande crescita, verso la fine degli anni ’70, della narrativa in Israele, da collegare non solo – come notato da A.B. Yehoshua – a una maturazione di tipo meramente culturale, ma anche a un venire meno, a seguito di un mutamento politico nel Paese, dell’idea dello Stato come “centro ideologico”, e alla conseguente ricerca, da parte di ampi strati della popolazione, di nuovi riferimenti identitari, da cercare fuori del sentimento nazionalista che aveva accompagnato la fondazione di Israele e i primi decenni della sua vita.
Un libro che fa imparare molte cose, in grado di coinvolgere e di commuovere, per il quale l’autrice merita le nostre congratulazioni, e anche i nostri ringraziamenti.
Francesco Lucrezi, storico
(9 marzo 2016)