Roma – Quale futuro per gli ebrei d’Europa
Voci e opinioni a confronto

IMG_20160310_191829C’è un futuro per gli ebrei in Europa? È la domanda da cui è partito il dibattito organizzato ieri a Roma, presso il Centro Il Pitigliani, dall’Associazione di cultura ebraica Hans Jonas.
“Un titolo apparentemente provocatorio, che allo stesso tempo però rappresenta il cuore del sentimento che vive nelle comunità ebraiche”, ha sottolineato il presidente di Hans Jonas Tobia Zevi, che ha moderato l’incontro. A tentare di dare una risposta da vari punti di vista diversi, il demografo dell’Università Ebraica di Gerusalemme Sergio Della Pergola, la demografa dell’Istat Linda Laura Sabbadini, il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni e il presidente della Comunità di Sant’Egidio Marco Impagliazzo.
“La situazione è caratterizzata da una grande fluidità, e se pochi anni fa avevamo delle certezze, oggi ne abbiamo molte meno”, la considerazione di partenza presentata da Della Pergola. Il demografo ha quindi messo in evidenza i principali fattori che influenzano la demografia degli ebrei europei, facendovi emergere tre principali problemi: il decremento demografico – fenomeno legato in primo luogo all’invecchiamento della popolazione ma in cui si inscrive anche quello sempre più massiccio delle migrazioni, “non più legate alla concezione a volte spregiativa dell’ebreo errante, ma alla destabilizzazione del rapporto fra il territorio e l’identità ebraica”; l’atteggiamento della società generale nei confronti della minoranza ebraica, con un aumento dell’antisemitismo che secondo vari sondaggi inquieta sempre di più gli ebrei; una generale crisi del concetto di Europa, che influenza anche il modo in cui le singole Comunità ebraiche percepiscono se stesse.
Tutti questi fattori non sono caratteristici solo della popolazione ebraica, ma di quella europea in generale, ha quindi sottolineato Sabbadini. La quale ha anche osservato come un elemento che deve far riflettere sia che il fenomeno dell’antisemitismo è più presente dove le Comunità ebraiche sono più piccole. “Secondo un sondaggio del Pew Research Center – ha spiegato – in Italia l’antisemitismo è più diffuso che in Francia, e con un margine ancora maggiore l’islamofobia”, nonostante le dimensioni di entrambi i gruppi siano molto maggiori oltralpe. In questo contesto, il rav Di Segni ha quindi messo in guardia su quali conseguenze la lotta all’odio antiebraico, sempre più urgente in un contesto di crescita della preoccupazione, possa altresì avere sull’identità degli ebrei stessi. “L’antisemitismo va combattuto perché mette a rischio la nostra esistenza ma questa lotta, che spesso porta anche a pascere la propria identità sulla Shoah, non deve spostare il fulcro della nostra identità”, ha affermato il rabbino capo. “Se uno combatte l’antisemitismo perché gli impedisce di essere ebreo è un conto – il suo monito – ma se lo combatte per sparire all’interno della società è un problema”.

Nell’ambito del dibattito identitario, ha quindi aggiunto il rav, il primo fattore da considerare è che “l’Europa sta cambiando, ma anche il popolo ebraico sta cambiando”. All’interno di queste inevitabili mutazioni, Impagliazzo ha tuttavia sottolineato l’importanza di mantenere vivo il dialogo interreligoso, dal momento che la presenza ebraica è per l’Europa indispensabile. “Noi dobbiamo sempre riconoscere – le sue parole – che l’ebraismo ha salvato l’Europa dal pensarsi unica, e quindi dal totalitarismo”. Tra i problemi maggiori dell’Europa di oggi, e di conseguenza anche dell’Europa ebraica, vi è tuttavia secondo Della Pergola anche una crisi profonda dell’idea stessa con cui essa è nata. “Quando si riflette sul futuro degli ebrei in Europa – ha affermato – la domanda fondamentale è: ‘L’idea di creare un’identità europea è riuscita? È ancora realizzabile?’ Nelle comunità ebraiche non è ancora nemmeno partita, esistono solo diverse Comunità nazionali legate alla storia dei diversi paesi”.

Un problema ulteriormente accentuato dal fenomeno delle migrazioni, poiché di quelle in particolare verso Israele si è registrato nell’ultimo anno il picco più alto di sempre. Un fenomeno di massa che secondo il rav Di Segni deve indurre con forza un’altra riflessione su come affrontare il futuro, in quanto “dobbiamo essere consapevoli della necessità di prepararci culturalmente a queste migrazioni”. La scelta di molti individui e famiglie di compiere l’aliyah dall’Italia, ha spiegato, è spinta in molti casi da insicurezza e motivi ideologici, ma soprattutto dalla situazione economica dell’Italia. Ma una volta in Israele, le difficoltà non sempre sono risolte, anzi sono spesso ancora maggiori. Per questo – una delle risposte del rav alla domanda iniziale – “è necessario investire sulla formazione, sia culturale sia professionale, per permettere agli ebrei di costruirsi un futuro in Europa”.

Francesca Matalon

(10 marzo 2016)