Il settimanAle
Coesistenza fra Robot
C’è stata questa settimana, all’ex-Nokia Stadium di Tel Aviv, la First Robotics Competition, il torneo per robot progettati e costruiti dai ragazzi delle scuole medie superiori, che si svolge in molti paesi del mondo, ed i cui migliori classificati partecipano poi alle finali negli Stati Uniti. Nella fase di qualificazione per ogni gara vengono sorteggiate due squadre di tre robot ciascuna, che si affrontano nel giuoco assegnato, quest’anno assaltare una sorta di torre medievale presidiata dagli avversari. Mentre il mitico robot della scuola di mia figlia si ribaltava già nella prima gara, con sua gran costernazione, io notavo con piacere che nel terzetto erano, con il loro, il robot costruito dal liceo di un villaggio arabo della Galilea, e quello di una scuola della Bosnia Herzegovina, venuto a disputare la competizione in Israele. E in effetti fra 63 robot partecipanti ne ho contati, a parte il bosniaco, almeno 7 costruiti da ragazzi arabo israeliani, piccola testimonianza, sia pure meccanica e quest’anno inopinatamente bellicosa, di crescita del sistema scolastico della minoranza. Ma se la celebre unità 8200 dell’intelligence e poi l’industria hi-tech sono fra le tappe successive di chi si è fatto le ossa sui robot del liceo, quali sbocchi si aprono ai ragazzi arabi, che nell’hi-tech sono presenti in percentuale trascurabile, meno dell’1%, per non parlare dell’unità 8200?
Quasi in risposta sono apparsi due articoli di Inbal Orpaz, che scrive di economia per Ha’aretz. Il 6 marzo ci racconta del progetto Hybrid, che si basa sull’aiuto di ex membri dell’unità 8200 per incoraggiare l’imprenditoria arabo israeliana nell’hi-tech, avvicinandone i giovani all’ecosistema, fin qui quasi esclusivamente ebraico, delle start-up. Il 10 marzo riferisce che Microsoft aprirà un centro R&D a Nazareth, per cogliere l’opportunità offerta, spiega il suo dirigente Yoram Yaakobi, da quel 25% dei laureati in informatica del Technion che sono arabi, e che spesso non trovano modo di mettere a frutto le competenze acquisite.
E se i robot e i loro progettisti sentissero il bisogno di concedersi uno svago musicale? Possono andare allo Tzavta di Tel Aviv, dove martedì ha suonato il gruppo etnicamente misto di Ziv Yehezkel. Il solitamente plumbeo Gideon Levy racconta con le lacrime agli occhi di una performance straordinaria, che lo porta a scrivere che “se a Basilea furono gettate le fondamenta dello stato nazionale degli ebrei [nel 1897, ndr], è allo Tzavta che è stato creato lo stato di tutti i suoi cittadini”. Ziv è un ex-studente di yeshivah appassionato di musica araba, che canta in arabo, e arabi sono 5 dei 6 componenti del suo complesso, musulmani, cristiani e drusi, mentre il sesto è un ebreo ultra-ortodosso che con barbone e kippah nera batte sulla darbuka ritmi non propriamente hassidici. Il pubblico? Misto che più misto non si può: studenti di yeshivah, militanti del partito Shas, fuoriusciti dalla comunità dei fedeli, popolo della sinistra, artisti, ashkenaziti e mizrachim, ebrei osservanti e laici, e perfino qualche arabo israeliano. Tutti ammaliati dal “profeta” Yehezkel, scrive in estasi Gideon Levy, che sedeva dietro ad una coppia di coloni dalla Samaria, vicino ai genitori di un obiettore di coscienza attualmente in carcere, e accanto ad un programmatore di computer beduino, laureato al Technion e che lavora nella cybersecurity. Il robot di mia figlia non è stato l’unico mito, questa settimana, a finire a gambe all’aria.
Alessandro Treves, neuroscienziato
(13 marzo 2016)