Datim, Haredim, Hilonim: i volti di uno Stato che si confronta con le incomprensioni interne
“Bisogna che la società israeliana si faccia un serio esame di coscienza”. È stato questo il commento del presidente dello Stato di Israele Reuven Rivlin quando gli sono stati presentati i risultati di “Mosaico israeliano: identità, società e religione”. L’ultimo lavoro del Pew Research Center lo ha portato a fare dichiarazioni dure e coraggiose: “L’idea che lo Stato di Israele possa essere una democrazia solo per i suoi cittadini ebrei è inconcepibile. Dobbiamo trovare un modo per affrontare questo problema”. Un campanello d’allarme, quello del presidente Rivlin, ma anche la dimostrazione che è in una democrazia sana le istituzioni prendono di petto tutte le problematiche, non nascondono le difficoltà, le affrontano. E l’indagine della Pew Research ne solleva diverse, fotografando una società che tende ad essere divisa, diffidente, pessimista, con poca fiducia nel futuro e una propensione a chiudersi fra simili. Questo in estrema e riduttiva sintesi il quadro presentato nelle quasi 250 pagine di dati, grafici e analisi del materiale raccolto fra ottobre 2014 e maggio 2015. Più di 5600 rispondenti, appartenenti sia alla componente ebraica che a quella araba della società, ulteriormente scomposte – per autodefinizione – in diversi gruppi, mesi di lavoro di un team di ricercatori serio e competente e analisti esperti. Un lavoro da non sottovalutare, che ha portato a una reazione chiara da parte di Rivlin, deciso a non accettare passivamente i risultati di un sondaggio che non è una lettura piacevole. Incita a una reazione, vuole capire e soprattutto cercare immediatamente un modo per affrontare i problemi: “Mi addolora vedere il divario fra religiosi e laici sull’idea di Israele come Stato ebraico e come Stato democratico. I nostri valori democratici nascono dalla nostra fede ebraica, che
si basa anche sull’amore per lo straniero e sull’eguaglianza davanti alla legge. Questo è l’ebraismo”. Il dato prontamente rilanciato da molti media e su cui si sono focalizzate le prime reazioni è quello che riporta come il 48 per cento di israeliani ebrei concordino con l’idea che gli arabi israeliani dovrebbero essere espulsi o comunque trasferiti dal Paese. Si arriva al 48 per cento – media fra le risposte del 59 % degli Haredim, del 71 % dei Datim, 54% dei Masortim e 36 % degli Hilonim – sommando coloro che sono “fortemente d’accordo” e coloro che sono d’accordo con l’affermazione “Gli arabi dovrebbero essere espulsi o trasferiti da Israele”. Va sottolineato però che si tratta di un dato estrapolato da un intero capitolo del sondaggio – l’ottavo, intitolato “Visioni dello stato ebraico e della diaspora” – dove non solo viene fatto il confronto fra questo dato e i risultati di sondaggi che precedentemente avevano preso in considerazione l’idea del trasferimento della popolazione araba israeliana, ma dove questa domanda è scomposta in tutte le sue variabili ed è parte di un set di questioni che è stato preparato da un centro di ricerca fra i più seri al mondo. Nonostante si tratti di un dato apparentemente non coerente con i risultati dei sondaggi sull’argomento, e nonostante le reazioni molto forti che ha suscitato in un paese che vede la minoranza araba anche come prova del proprio impegno per i valori della democrazia e per il rispetto delle diversità, Alan Cooperman – l’autore principale della ricerca – lo difende come risultato allineato ad altri dati contenuti nel sondaggio. Quasi quattro ebrei israeliani su cinque ritengono che gli ebrei dovrebbero avere un trattamento preferenziale nel Paese, il 60 per cento degli ebrei israeliani crede che la terra sia loro stata data da Dio, e la maggioranza di Haredim e Datim ritiene che la legge ebraica dovrebbe essere la legge dello Stato.
Per rav David Stav, responsabile dell’organizzazione rabbinica Tzohar, anche un altro dato è importante: “La ricerca mostra come gli ebrei israeliani desiderino praticare il loro ebraismo, ma anche come vogliano farlo senza che le istituzioni dello stato possano entrarvi. Preoccupante per me è che se non riusciamo a trovare un modo per gestire questa inquietudine per il rapporto fra ruolo dello stato e religione stiamo essenzialmente creando la ricetta perfetta per arrivare a due stati ebraici all’interno della stessa nazione”.
I risultati della ricerca Pew sono una grande opportunità per analizzare la natura stessa delle conflittualità fra religione e stato in Israele: i dati mostrino come le divisioni ci siano e siano tante, e come la parte religiosa e quella laica della società abbiano una visione contrapposta di cosa dovrebbe succedere nel momento in cui ci si trovasse di fronte a una contraddizione fra le leggi dello Stato e la halakha. Non sono però posizioni monolitiche come ci si potrebbe invece aspettare, e non sono in discussione solo il rapporto fra i gruppi, ma anche la libertà di religione e l’accesso alle istituzioni dello stato e, senza arrivare a un vero e proprio scontro fra ebraismo e democrazia è evidente come i problemi aperti siano molti. Come ha immediatamente sottolineato il presidente Rivlin vanno affrontati presto, subito, prima che sia troppo tardi.
Ada Treves
(13 marzo 2016)