Maionese slovacca

vercelli Nella Repubblica Slovacca, abitata da poco meno di cinque milioni e mezzo di anime, dal 2004 parte dell’Unione europea e dal 2009 dell’Eurozona, entrano (tornano?) in Parlamento le forze politiche dichiaratamente xenofobe e antisemite. Così per il Partito del popolo-Nostra Slovacchia-LsNs, guidato dall’ex insegnante e attuale Presidente della regione di Banská Bystrica Marian Kotleba. Al giovane politico, che si presenta in pubblico perlopiù indossando una sinistra divisa paramilitare, circondato da astanti pronti a menare le mani, in un nugolo di croci e camicie nere, non manca le physique du rôle. Corpo massiccio e palestrato, ancorché propendente a una certa pinguedine, dal 2003, a soli ventisei anni, era divenuto il capo della formazione politica di estrema destra Slovenská pospolitosť-Národná strana, il cosiddetto Partito nazionale della comunità slovacca, cinque anni dopo bandito dal ministero dell’Interno per poi essere riammesso, l’anno successivo, nell’agone politico. Nel 2010 Kotleba aveva tuttavia dato vita a Ľudová strana Naše Slovensko, l’attuale organizzazione con la quale si è presentato alle urne, strappando quindi l’8% dei consensi ed eleggendo quattordici deputati. Un breve panorama della situazione politica del Paese può aiutare a meglio comprendere quanto sta avvenendo. Il partito socialdemocratico Smer–sociálna demokracia-Smer-SD del premier uscente Robert Fico, pur attribuendosi il 28,3% dei voti e un terzo dei seggi del Parlamento monocamerale slovacco, il Consiglio nazionale, ha perso sia un grande numero di elettori (precedentemente pari al 44%) sia la maggioranza assoluta (83 seggi) che deteneva dal 2012. Sotto pressione per le ripetute accuse di corruzione, incapaci di esprimere una linea di politica economica in grado di rispondere alle esigenze della popolazione, dinanzi al manifestarsi di fermenti sociali sempre più intensi i socialdemocratici si sono accodati e accomodati ad una campagna elettorale perlopiù giocata su temi cari alla destra radicale, quali il rifiuto dei migranti, il diniego all’accesso di profughi di origine musulmana, la lotta alla criminalità comune, le polemiche sempre più aspre con Bruxelles e gli organi comunitari. Non è quindi un caso che il secondo partito uscito dalle urne sia quello liberale di centro-destra Sloboda a Solidarita, Libertà e solidarietà, con il 12,1% dei voti e ventuno seggi. Nel medesimo asse di destra è collocato Obyčajní Ľudia a nezávislé osobnosti, conosciuto con l’acronimo di OĽaNO, ossia Gente comune e personalità indipendenti, del giovane, videogenico e belloccio imprenditore Igor Matovic, con l’11% dei voti e 19 seggi complessivi, insieme all’8,9% delle schede votate per i nazionalisti di Andrej Danko, ossia raccolti da Slovenská národná strana, il Partito nazionale slovacco che, dopo avere martellato contro la minoranza magiara presente nel Paese, ha spostato il mirino della polemica contro due target politicamente più redditizi, l’Unione europea e i profughi (segnatamente, la Slovacchia nel 2015 ha ricevuto poco più di cinquecento domande d’asilo). La somma dei voti raccolti dalla destra nelle elezioni politiche dei giorni scorsi indica quindi un netto spostamento dell’elettorato verso i temi e le questioni da essa sollevate, insieme al chiarissimo indebolimento dei socialdemocratici di Fico (aderenti al sempre più anemico Partito socialista europeo, presente nel parlamento di Strasburgo). Quest’ultimo, accordandosi alle parole d’ordine del blocco d’ordine radicale, perlopiù articolate nel rifiuto delle politiche comunitarie; nella contrapposizione alla Germania (vista come la regista delle politiche dell’Unione e quindi nella sua natura di maggiore responsabile delle attuali difficoltà in cui versa la Slovacchia); nella proposta di erigere nuovi confini e muri per impedire l’accesso dalle frontiere dei tanti migranti provenienti dai Balcani e dall’Est; nel diniego ai rischi di ‘islamizzazione’ attraverso la prassi delle espulsioni ai confini; nel rimando al conservatorismo sociale, ha così regalato ai populisti di casa propria un ampio orizzonte di intervento, permettendo ad essi di egemonizzarlo culturalmente. Tutta la campagna elettorale si è quindi svolta sul versante più consono alle forze nazionaliste, che hanno dettato le priorità dell’agenda politica. Il voto, infine, ha sancito questo indirizzo di fondo. Marian Kotleba, nella sua qualità di astro nascente del firmamento radicale della destra europea, si distingue non solo per avere militarizzato il suo partito ma per la particolare asprezza dei temi che riprende. Svettano, tra le altre formulazioni, la teorizzazione della discriminazione istituzionale del quasi mezzo milione di slovacchi di origine rom (su 5 milione e quattrocentomila connazionali), definiti senza mezzi termini come “parassiti” (secondo il programma del partito: “We will put a stop to the preferential treatment of all social parasites, including gypsy parasites. Parasites who will refuse to work, will receive nothing for free – no housing or other benefits and allowances”) e la rivendicazione sfacciata dell’eredità di monsignor Josef Tiso, il sacerdote collaborazionista che, a capo del Partito slovacco di unità nazionale, governò la Slovacchia in accordo con i nazisti, compromettendosi nelle politiche antisemite e nelle deportazioni. Queste ultime erano attuate perlopiù dalla Hlinkova Garda, la Guardia di Hinkla, l’organizzazione paramilitare slovacca di ispirazione nazifascista e nazionalista attiva tra la fine degli anni Trenta e il 1945. Per la cronaca, a guerra ultimata Tiso fu processato dalle autorità cecoslovacche e quindi giustiziato nel 1947. Tra il 1942 e il 1945, sia pure a fasi alterne, circa settantamila ebrei slovacchi furono deportati nei Lager. Di essi almeno sessantacinquemila vi perirono. Grosso modo il 77% della popolazione ebraica locale, stante l’ultimo censimento prebellico, perì nei campi di concentramento o per mano delle milizie fasciste. Se ci si rifà al primo censimento della Repubblica cecoslovacca, del febbraio 1921, in quelli che erano i territori che sarebbero stati poi scorporati dai nazisti a partire dal 1938 in poi, vivevano 135.918 ebrei, con 165 congregazioni di rito ortodosso e 52 riformate. Questo per dire del background di riferimento. Kotleba non pare darsi particolare pena per le tragedie che hanno accompagnato quanto è stato, semmai enfatizzando la determinazione nazionalista di Tiso. Anche per questo, in qualità di leader assoluto e capo supremo del Partito del popolo, si è autoproclamato “Vůdce”, ossia duce. Lo si vede girare compiaciuto, attorniato dai suoi sodali, tutti rigorosamente vestiti con l’abbigliamento “tradizionale” del fascismo autoctono: polo verde militare in estate, pastrani, giubbotti e bomber neri nei mesi più freddi. Se nelle elezioni regionali del 2010 era riuscito a raccogliere il 10% dei voti, nel 2013 a Banská Bystrica aveva raddoppiato i consensi al primo turno, vincendo poi a sorpresa al ballottaggio contro il governatore socialdemocratico uscente. Plausibile che adesso, assiso sugli scranni del parlamento di Bratislava, dia fiato alle corde del promesso referendum per l’uscita dell’Unione europea (seguendo quanto si sta predicando anche nella vicina Repubblica ceca) la cui presidenza, ironia della sorte, dall’estate di quest’anno dovrebbe spettare proprio alla Slovacchia per il semestre di turno. Non di meno, un’altra intenzione sarebbe quella di cancellare la partecipazione alla Nato, definita tout court “organizzazione criminale” (letteralmente: “terroristic pact”). A livello continentale l’organizzazione di Kotleba fa parte dell’Alleanza per la pace e la libertà-APF, presieduta dall’italiano Roberto Fiore, già tra i maggiori esponenti di Terza posizione prima e di Forza Nuova successivamente, due formazioni politiche neofasciste o comunque collocate nello spettro politico del radicalismo di destra estrema. L’ideologia di riferimento di Apf rimanda al “nazionalismo bianco”, una forma di suprematismo etno-razziale dei “popoli”, ad una ipotetica terza posizione tra comunismo e capitalismo, al comunitarismo, al cosiddetto “antimondialismo”, al rifiuto dei processi migratori e ad un marcatissimo euroscetticismo che, in molti casi diventa rifiuto dell’Unione europea in quanto creazione dei “banchieri” e della “massoneria”. Attualmente una dozzina di gruppi continentali si sono affiliati all’Alleanza. Tra di essi l’italiana Forza Nuova, la greca Alba dorata, il Partito nazionaldemocratico di Germania, la spagnola Democrazia nazionale, i nazionalisti svedesi capitanati da Stefan Jacobsson, i fuoriusciti dal British National Party nel 2014, sotto la guida di Nicholas Griffin e ancora i nazionalisti francesi di Olivier Wyssa, il Partito dei danesi, il Movimento nazionale belga e il cosiddetto Partito operaio per la giustizia sociale ceco. L’Afp ha rapporti con il Fronte nazionale europeo, struttura di coordinamento e collaborazione che vede ancora una volta in prima fila l’italiano Roberto Fiore, presente con cinque esponenti nel Parlamento europeo (ma non come gruppo autonomo), su posizioni di destra radicale quindi ultranazionaliste e, tra le altri cose, anche “antisioniste”. Più in generale, l’atteggiamento delle forze politiche raccoltesi intorno all’Alleanza per la pace e la libertà rispetto alle crisi in corso è di marcata simpatia nei confronti della politica di Vladimir Putin, soprattutto nella contrapposizione contro l’Ucraina, e di attenzione verso il partito Ba’ath siriano degli Assad. In questa congerie di elementi Marian Kotleba, anche attraverso i cosiddetti “dieci comandamenti del Partito”, inserisce i classici richiami alla necessità di un ampio programma di sostegno pubblico nei confronti dei ceti sociali slovacchi maggiormente svantaggiati sul piano economico, rinvia alla necessità di una radicale riforma istituzionale a favore della “democrazia diretta” (cavallo di battaglia dei populisti), richiama al tradizionalismo sociale e civile di radice cattolica (in cui rientrano l’omofobia, il rifiuto di qualsiasi forma di unione civile e la lotta “ad ogni forma di perversione sessuale”, dove anche qui il programma afferma, alla lettera: “Marriage will be always considerated as the union of a man and a woman. Decent families will be supported by interest-free loans and with the possibility of obtaining a rented flat. We refuse registered partnerships, adoption of children by gay couples and promotion of sexual deviations”), demanda alla formazione di una “milizia” civile e popolare composta di volontari per agevolare la tutela della “proprietà” e della vita anche attraverso il ricorso alle armi, ad una educazione della gioventù secondo i crismi dei “valori nazionali e cristiani” e così via. Un ultimo dato da menzionare è la composizione religiosa della popolazione slovacca: il 68,9% si dichiara cattolico di rito romano, il 6,93% luterano, il 4,1% cattolico di rito bizantino, il 2,0% calvinista, lo 0,9% ortodosso, l’1,1% professa altre religioni e il restate 13% non richiama nessuna appartenenza. Un tempo la comunità ebraica era ovviamente molto numerosa e radicata, con almeno 120.000 membri antecedentemente alla compromissione collaborazionista. Dei 25.000 sopravvissuti, dopo il 1945, molti emigrarono, anche perché il regime comunista, instaurato brutalmente con il 1948, non permise più alcuna forma di vita comunitaria autonoma, laddove invece vi erano state almeno duecento sinagoghe e più di seicento cimiteri. Di ebrei, nella Slovacchia che si fa di nuovo un po’ bruna, al momento ce ne sono non più di 2.300. Meno di un migliaio vivono a Bratislava, settecento a Kosice, altri nelle aree urbane di Presov, Nove Zamky, Komarno, Dunajska Streda, Galanta, Nitra, Trnava. Verrebbe voglia di pensare, senza cinismo alcuno, quanto ancora potranno rimanerci.

Claudio Vercelli

(13 marzo 2016)