Qui Milano – Diversità, il dovere di difenderla

rav arbib fondazione corriereOmologarsi agli altri è una tentazione in cui cadiamo spesso. Celebriamo la diversità, eppure ci capita, per il nostro quieto vivere, di uniformarci alla massa. Ma la cancellazione delle differenze costituisce un danno a noi stessi, alla società e alla natura. Il perché lo hanno spiegato chiaramente i relatori dell’incontro “Diversità. Biologica, culturale, sociale”, organizzato a Milano dalla Fondazione Corriere della Sera e dalla Comunità ebraica cittadina in collaborazione con l’associazione Amici di Brera, l’Associazione Medica Ebraica di Milano, Gariwo e l’Università degli Studi. Ad aprire la serata, condotta dal presidente della Fondazione Corriere Piergaetano Marchetti assieme a Claude Shammah, la riflessione sulla diversità di rav Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano. “L’uomo è pensiero e la diversità di pensiero è un elemento fondamentale della nostra vita”, ha esordito il rav, ricordando il passo del Talmud – scelto come linea guida dell’incontro – che recita “come i loro volti sono diversi, le loro idee sono diverse”. Siamo noi i primi a dover riconoscere questa diversità, ha spiegato Arbib, ed assumerla come valore identitario. “Nella vita quotidiana siamo spesso portati ad avere un pensiero omogeneo. Cosa vuol dire? Ad esempio se guardate le interviste fatte in giro in cui si chiede ‘qual è la tua opinione?’, quasi sempre le risposte sono le stesse. Ma davvero la pensiamo tutti allo stesso modo – l’interrogativo posto dal rabbino capo – No, perché sarebbe disumano ma c’è una tendenza adattarsi a quanto afferma la maggioranza”. Al pensiero comune, appunto. “E anche quando abbiamo un’opinione diversa, facciamo difficoltà ad esprimerla, ad esercitare la nostra capacità critica. Non vogliamo dire qualcosa che possa non piacere alla gente e quindi, per il nostro quieto vivere, rinunciamo”. “Ma praticare il quieto vivere significa rinunciare alla propria identità”, avverte il rav, ricordando le parole di rabbì Zusha di Anipoli che disse “Io non voglio essere Mosé perché Dio non ha bisogno di una sua brutta copia. Io voglio essere Zusha, voglio essere me stesso”. Questa affermazione di sé, della propria diversità, vale in molti ambiti, ed è ad esempio il presupposto da cui partire sul fronte del dialogo interreligioso, sottolinea Arbib. “Perché questo dialogo abbia senso, perché non diventi un dialogo delle banalità, dobbiamo sforzarci di capire le differenze e non sempre lo facciamo”. A maggior ragione questo deve avvenire in una società multiculturale come quelle in cui viviamo, il monito del rav, in cui è necessaria la comprensione della diversità, “anche se non ci piace”. D’altra parte la comprensione dell’altro non significa rinuncia della propria identità. E su questo punto il rav ha portato l’esempio dell’episodio, presente nel trattato di Meghillah, della traduzione dei 72 saggi della Torah commissionata dal re Tolomeo. “Divisi ciascuno in una propria casa, i 72 tradussero il testo miracolosamente allo stesso modo ma volutamente non sempre in modo fedele. Perché? Ci sono tanti motivi, ad esempio per assecondare il committente o per adattare il testo al pubblico che lo ascolterà, ma il rischio è così la falsificazione che porta a un indebolimento e non arricchimento”.
Anche nella natura l’affermazione della diversità è un elemento non solo positivo ma necessario, ha spiegato l’agronomo Stefano Bocchi, ricordando l’importanza della biodiversità. Cancellare quest’ultima, vuol dire mettere a rischio l’ecosistema e la salute dell’umanità. E torna qui in mette l’episodio biblico dell’arca di Noè: come scriveva su queste pagine, Francesco Moises Bassano, “ il fine della costruzione dell’arca è verosimilmente la conservazione delle numerose specie animali (e vegetali), un appello alla preservazione delle diversità del nostro ecosistema, attualmente sempre più minacciate dal saccheggio e dalla distruzione degli ambienti”.
Sul fronte culturale, a ricordare perché il confronto tra pensieri, filosofie, musica, arti differenti, la loro vicendevole contaminazione, sia stata preziosa per l’evolversi del pensiero, il critico d’arte Philippe Daverio, il maestro Francesco Biraghi (che ha dato un saggio dal vivo attraverso le note della chitarra di cosa significa la diversità tradotta in musica) e il presidente dell’Associazione Amici di Brera Aldo Bassetti, che nel suo intervento ha voluto citare le parole dell’ex presidente d’Israele Shimon Peres, “ogni persona ha egual diritto di essere diversa”.
Testimonianza amara quella dell’archeologa Maria Teresa Grassi, che ha raccontato come Palmira, la città siriana distrutta dai jihadisti dell’Isis, fosse un simbolo di convivenza millenaria tra culture diverse, nonché crocevia tra Oriente e Occidente. Un simbolo su cui si sono abbattuti l’odio, l’ignoranza, il desiderio di cancellare il diverso dei miliziani del Califfato.
Contro questo tipo di violenza ha parlato il presidente di Gariwo Gabriele Nissim, ricordando chi strumentalizza la diversità per colpire gli altri. Chi, come nella Metamorfosi di Franz Kafka, disumanizza il prossimo, lo rende altro per colpirlo senza rimorso. Un meccanismo, ha ammonito Nissim, contro cui dobbiamo continuare a combattere, anche nell’Europa di oggi.

Daniel Reichel

(16 marzo 2016)