…Ghetto

Il Ghetto, sul cui concetto si sta avviando in questi giorni una lunga stagione di incontri, è un luogo topografico e un luogo della mente. Dal punto di vista storico si è trattato di una forzatura sociale, politica e giuridica. Non si può costringere una popolazione a risiedere in uno spazio ristretto per lungo tempo (dovrebbe essere chiaro a tutti anche oggi), e le regole, le leggi che governano questa clausura generano mostri: è naturale la pulsione alla violazione di quelle norme, sia da parte della popolazione costretta all’interno, sia da parte di chi resta fuori. Per fare il caso dei ghetti italiani, sono note le resistenze dei proprietari di case cristiani che non erano per nulla contenti di perdere l’uso del loro bene immobile. E sono molto conosciute e sottolineate le situazioni anomale, numerosissime, che si vivevano in epoca di ghetti in aperta violazione delle norme imposte dal potere politico e/o religioso. Si può dire che il ghetto spinga a violare la legge, a delinquere, il che non rientrerebbe nei programmi di nessun governo. Una forzatura, quindi. Ma in ogni caso un fatto storico di lunga durata, che ebbe conseguenze importanti in numerosi ambiti. Mi sfugge quindi la ragione di una reiterata polemica che viene proposta ultimamente contro gli eventi organizzati a Venezia. Anche se i giornalisti – categoria spesso frettolosamente alla ricerca di parole ad effetto non sempre appropriate – hanno per lo più scelto di utilizzare concetti sbagliati come celebrazione o addirittura festeggiamento, questo non significa che gli eventi organizzati siano sbagliati. Ti indico con il dito la luna, e tu mi descrivi il dito? La luna è – nel caso del Ghetto di Venezia – una straordinaria storia di incontri di culture, una dinamica propulsiva che va raccontata e su cui non si può non lavorare. Dire Venezia nel ‘500 è dire New York oggi. Io immagino il Ghetto di Venezia come un punto sulla carta geografica che si mette in rapporto necessario con Amsterdam nel Paesi Bassi, con Londra, con Zamosc in Polonia (gli ebrei veneti si insediano lì ben prima dello shtetl), con Creta, con tutto il Mediterraneo orientale, con la Dalmazia e i Balcani e con tutta la Terraferma Veneta. Un Hub talmente visibile e potente da far immaginare a Shakespeare (che com’è noto in Italia non ci venne mai) di ambientare proprio lì uno dei suoi lavori più provocatori e moderni, il Mercante di Venezia. Insomma, un’esperienza importante a livello globale, che non può non essere raccontata e che deve aiutarci a riflettere sul presente. Naturalmente, una delle conseguenze del Ghetto è stata anche la maturazione di una mentalità caratteristica, chiusa e gelosa di un tessuto umano e tradizionale che alla lunga si è posto in atteggiamento di chiusura nei confronti della società maggioritaria. Sulla questione della costruzione di una propria identità fondata sui confini di separazione verso l’esterno la storiografia e la sociologia stanno lavorando da tempo. Ma si tratta di una dinamica che sarebbe utile declinare al passato, senza che la sua eredità presente vada a confliggere con un evento che merita l’attenzione e l’impegno di tutti.

Gadi Luzzatto Voghera, storico

(18 marzo 2016)