Il Talmud parla italiano
Una traduzione all’avanguardia

bozziIl Palagio dell’Arte della Lana si trova in un vicolo fiorentino passeggiando nel quale sembra di ritrovarsi catapultati nel Medioevo. Ma tra le imponenti scalinate di pietra e le sue stanze piene di libri antichi, oggi occupate dalla Società Dantesca Italiana, si parla di letteratura attraverso quanto di più legato al futuro esista, e cioè la tecnologia. Il professor Andrea Bozzi, membro della Società ed ex direttore dell’Istituto di Linguistica Computazionale “A. Zampolli”, oggi coordinatore del Comitato scientifico del Progetto di traduzione italiana del Talmud Babilonese, vi espone infatti a Pagine Ebraiche il funzionamento del software collaborativo Traduco, ideato per facilitare, velocizzare ma soprattutto migliorare l’opera di traduzione italiana del Talmud, di cui esce il primo volume dedicato al trattato di Rosh haShanah. L’ILC è un istituto indipendente fondato dal Centro Nazionale delle Ricerche, che insieme all’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca è partner di un’intesa firmata nel 2011. Il software è un sistema complesso, perché complessa è l’opera che serve a tradurre, e si basa sugli studi di linguistica computazionale, che si occupa di analizzare i testi attraverso l’uso del computer, su cui si è incentrata la carriera di Bozzi. Il quale inizia ad addentrarsi nel suo funzionamento spiegandone lo scopo primario, e cioè quello di “produrre la traduzione di una collana di volumi a stampa”. L’impianto tecnologico, spiega, permette di risolvere un problema che inevitabilmente sovviene nel momento in cui sono cinquanta persone diverse fra traduttori esperti, traduttori in formazione, istruttori, redattori e curatori, si trovano a lavorare su un testo di una vastità e composizione come quella del Talmud, e cioè “la disomogeneità interpretativa di passi molto simili, se non identici”, ma anche di rendere più snello tutto il processo. Nella pratica, il sistema memorizza le traduzioni che vengono via via registrate dai vari traduttori, in modo tale che la volta successiva che l’espressione ricompare in un altro passo, automaticamente il traduttore che l’avrà tra le mani in quel momento visualizzerà la traduzione già inserita, naturalmente con la possibilità di migliorarla e adattarla.
Ma c’è di più, perché come spiega Bozzi il software “è una Ferrari, non un’utilitaria”. Quando è stato coinvolto da Clelia Piperno e dal rav Riccardo Di segni, Bozzi si è subito reso conto che “era necessario fare uno sforzo in più, affinché il progetto andasse oltre se stesso diventando un vero e proprio progetto di ricerca, facendo sì che l’investimento economico che vi era alla base producesse un risultato ulteriore”. Come fare? La risposta per Bozzi, che aveva già lavorato a sistemi simili di traduzione dal greco antico, è stata immediata: “Trasformare il progetto di traduzione in una vera e propria infrastruttura per la traduzione di testi non per forza antichi ma di particolare difficoltà interpretativa”. Una prospettiva che rende il Progetto Talmud unico e all’avanguardia: “Si tratta del primo modello di questo genere in Italia – osserva Bozzi – dove in molti altri casi si sono utilizzati sistemi che non sono tuttavia così generici, poiché ognuno di essi ambisce a risolvere un problema specifico”. Per ottenere dunque un software che non esaurisca la sua funzione nella traduzione del Talmud Babilonese, è stato ideato di un modello architetturale per descrivere il quale Bozzi pone enfasi su tre aggettivi: modulare, flessibile, incrementabile. “Per modularità si intende la possibilità di prevedere una molteplicità di moduli, componenti, indipendenti ciascuno dei quali è in grado di svolgere una funzione determinata, e di aggiungerne o toglierne all’occorrenza garantendo la cooperazione tra di essi”. Questo a sua volta garantisce la flessibilità, che “si riferisce alla riusabilità dell’applicazione per progetti di traduzione del Talmud in altri idiomi”. E poi c’è l’incrementabilità, o in altre parole un vero e proprio sguardo a un futuro in cui Traduco potrebbe diventare un vero e proprio strumento a disposizione degli studiosi. In altre parole, grazie a queste caratteristiche da lui ideate, Bozzi si dice soddisfatto di vedere un progetto italiano guidare gli altri paesi nel campo della linguistica computazionale e in generale della ricerca. Arrivare a questo risultato non è stata una passeggiata: “Mettere i traduttori in grado di lavorare da subito è stata la parte più complicata, e ha comportato molti momenti di crisi nel mettere a punto in corso d’opera alcuni funzionamenti del sistema”, ha raccontato. “Ho però avuto un credito di fiducia da Clelia Piperno, che ha intuito che stavamo mettendo nel progetto un contenuto di ricerca, con tutti i rischi che questo poteva comportare”. E il merito di aver reso la seconda versione del software tanto potenziata va ai traduttori stessi, con i quali il rapporto per segnalare problemi e migliorie è stato letteralmente “quotidiano”.
“Molto di quello che si vede sulle pagine – conclude – proviene da uno sforzo comune che rimane nascosto dietro le quinte e che è motivo di orgoglio per tutti”

Francesca Matalon twitter @fmatalonmoked

da Pagine Ebraiche, aprile 2016

(5 aprile 2016)