In ascolto – Bobby Mc Ferrin

Maria Teresa MilanoQuesto mese ha compiuto 66 anni ma non ci pensa affatto ad andare in pensione. Sto parlando di Bobby Mc Ferrin, uno dei musicisti più interessanti e originali degli ultimi 30 anni.
Newyorchese, figlio di due cantanti d’opera, inizia a studiare pianoforte ma sviluppa fin da ragazzo la passione per il canto. Il suo primo mentore è Jon Hendricks, il re dello scat e poco alla volta arrivano le collaborazioni prestigiose, tra cui George Benson e Herbie Hancock.
Il suo primo disco esce nel 1984, è un album dedicato esclusivamente allo strumento voce, che Bobby sa esplorare in tutte le sue possibilità. La sua voce si estende su 4 ottave, ha l’orecchio assoluto e dunque un’intonazione perfetta e sa produrre suoni incredibili, con centinaia di sfumature diverse. Non si tratta solo di beatbox o di imitazione vocale degli strumenti – oggi è di moda e lo sanno fare in molti, chi più chi meno – ma lui ha qualcosa di particolare, un’intelligenza e una sensibilità musicale tali che rendono unica la sua interpretazione.
Nel 1988 scala i vertici delle classifiche di tutto il mondo con “Don’t worry be happy”, un brano nato per caso in studio di registrazione. Decine di album, migliaia di concerti e 10 Grammy Award raccontano la sua carriera che lui stesso definisce “la più tranquilla ed educata delle rivoluzioni” e quando raggiunge l’apice decide di riprendere il suo viaggio musicale e di studiare direzione d’orchestra con Bernstein e Maier. Mica male…
Ed è proprio in questa veste che oggi consiglio di ascoltarlo. Il link a cui rimando dura un’ora circa e purtroppo non è di buona qualità, ma merita davvero la pena vederlo tutto. Si tratta del concerto della Israeli Philharmonic del 1995, in cui Bobby Mc Ferrin dimostra, con una orchestra eccellente, quanto siano sfumati i contorni della musica. E lo fa con gusto e grande senso dell’umorismo.
Apre con l’ouverture della Carmen, maestosa e “classica”, ma subito passa a scherzare con singoli orchestrali ed ecco scopriamo che i due contrabbassisti hanno un’anima jazz e si divertono a improvvisare su Blue Monk, mentre il violoncellista richiama un altro standard, Moanin’ che poco alla volta si trasforma nell’Ave Maria di Gounod su cui Bobby Mc Ferrin improvvisa vocalmente. Dal minuto 16.30 al 19.44 fa un esperimento: chiede agli orchestrali di cantare la propria parte dell’ouverture del Guglielmo Tell di Rossini. Alcuni hanno l’aria impegnata e prendono la parte sul serio, ad altri scappa da ridere, ma il risultato è davvero buono e, soprattutto, ci ricorda che la musica è divertimento, per chi la fa e per chi la ascolta e ci torna in mente una delle dichiarazioni famose di Bobby: “La questione non è il virtuosismo, io non cerco di esibirmi, ma di cantare come quando sono a casa mia, in cucina. Voglio che gli spettatori, tornati a casa, comincino a cantare nella propria cucina. Voglio portare il pubblico a sentire quell’incredibile sensazione di gioia e di libertà che ho io quando canto”.
Al termine del concerto il pubblico israeliano rende al maestro un grande tributo e tra gli spettatori vediamo anche una giovane Noa, in piedi, con un sorriso radioso, che applaude decisa.
E il maestro McFerrin, il quieto rivoluzionario della musica, l’anti-star, torna sul podio, riceve i fiori, ringrazia, raccoglie le scarpe che aveva tolto a metà concerto ed esce con la bacchetta infilata tra le treccine.
Consiglio d’ascolto: https://www.youtube.com/

Maria Teresa Milano

(7 aprile 2016)