L’esperienza più atroce

Sara Valentina Di PalmaVedevo, in una foto apparsa negli ultimi giorni sulla stampa italiana, quel che resta della famiglia Regeni: se gli sguardi di padre e sorella mi sembravano mostrare una certa fierezza e reattività dietro l’immensa mestizia, nonostante l’incisività dei messaggi che ha inviato alle istituzioni italiane ed egiziane, la madre serbava in quegli occhi tutta la mestizia portata dal dolore più grande ed innaturale che una donna possa provare: quello per la morte di un figlio. E quale tipo di morte poi. La tortura, che nel nostro codice penale non è ancora un reato previsto nonostante se ne parli da anni, mi pare confermare la tesi foucaultiana che la interpreta come una delle attività dello Stato moderno attraverso le sue forze di polizia, le quali legittimamente detengono il monopolio della violenza e ne fanno un modo straordinario per tutelare (presunti) interessi dello Stato. Che poi questi coincidano o meno con gli interessi dei cittadini, è tutto da dimostrare.
Perché un ragazzo di quell’età, che hanno cercato di infangare in tutti i modi con le spiegazioni più improbabili (ancora non è stato accusato dal governo egiziano dell’affondamento del Titanic, ma forse arriveranno anche a quello), avrebbe dovuto poter continuare a sorridere con il suo gatto, scrivere alla fidanzata lontana, studiare i temi che gli erano a cuore e per i quali si trovava in Egitto. Avrebbe dovuto poter gioire della vita e della giovinezza di quel corpo che hanno martoriato prima di assassinare.
La tortura, denuncia Jean Amery in Intellettuale ad Auschwitz, è “l’esperienza più atroce” che un uomo possa provare, sin dalla prima percossa che apre una consapevolezza nuova, prima ancora che sulla perdita della propria dignità e sul potere del carnefice che decide di vita e di morte, sulla “perdita di fiducia nel mondo”: la solitudine nella sofferenza e la piena consapevolezza dell’annullamento dello spirito, del farsi solo carne sofferente. Contro la tortura cantava Joan Baez Gracias a la vida di Violeta Parra, facendone un atto di denuncia della dittatura di Augusto Pinochet in Cile e dei suoi metodi barbari di assassinio.
Violeta Parra, nonostante abbia scritto un inno alla vita di tale portata, soffriva di depressione sino ad arrivare al suicidio. Gracias a la vida, que me ha dado tanto / me dió dos luceros, que cuando los abro / perfecto distingo, lo negro del blanco: in sostanza, grazie alla vita che mi ha dato occhi per vedere e distinguere i colori, piedi affaticati per tutte le strade che percorro, la possibilità di sentire il canto degli uccelli e dei grilli notturni, e riso e pianto, e la capacità di amare.
Come ha fatto Ruth Halimi a sopravvivere alla morte di Ilan dopo tre settimane e mezzo di tortura nelle mani dei suoi aguzzini? Ruth prova a descriverci la sua non vita in 24 giorni: La verità sulla morte di Ilan Halimi: e dopo? Si può imparare di nuovo ad amare il cielo stellato dopo la barbara morte di un figlio? Prova a chiederselo Manuela Dviri dopo la perdita del figlio Yoni per mano di Hezbollah, cercando di trasformare il dolore in uno strumento di comprensione e di azione sul mondo, come hanno fatto anche tante madri e nonne di Plaza de Mayo nell’affrontare la dittatura argentina per sapere la sorte di figli e figlie desaparecidos e dei loro bambini, spesso dati in adozione alle famiglie degli stessi militari carnefici. Provavano a resistere alla tortura dell’estenuante appello mattutino in lager, in piedi per ore nel freddo polacco, Ruth Klüger la quale cercava di ricordare le poesie imparate a scuola, o la sua coetanea Liliana Segre che si astraeva dalla violenza di fame, torture, botte, punizioni guardando una stella in cielo e provando a dimenticare così se stessa ed il proprio corpo sofferente per divenire quella stella alta nel cielo.
Forse si può cercare di riappropriarsi delle piccole cose, canta anche Ani ohev chocolat (אני אוהב שוקולד , Amo il cioccolato). La canzone per bambini di Yehonathan Geffen, nipote di Moshe Dayan, attivista di sinistra oltre che poeta e cantante (il quale ha perso sia la madre sia la sorella, suicide) canta come possiamo amare il sole la luna e anche le stelle, il dipanarsi delle stagioni, i propri cari che ci sono ancora. Ma questo solo se davvero soprattutto, si riesce a ricominciare a dire: אבל הכי הכי הרבה אני אוהב אותי (Aval hachi, haci harbeh, ani ohev oti, ma più di tutto, soprattutto, amo me stesso).

Sara Valentina Di Palma

(7 aprile 2016)