Nutella o salmone

Valerio-Fiandra 2Il problema, con gli autori che ami, è sempre lo stesso: attesa e disattesa. Nabokov, che era e resta uno dei più grandi scrittori del 900, diceva “I go by books, not by authors”, che lui non andava ad autori, ma a libri. E credo abbia, ancora una volta, ragione. Fra parentesi: la ragione per cui metto il russo americano francese più inglese che ci sia mai stato in letteratura fra i miei preferiti in assoluto, è proprio perché con lui, la massima appena citata, non vale. Non ho ancora trovato un solo libro di Vladimir che non sia buono, e potrei citarne almeno quattro ottimi, sia in narrativa sia in saggistica, per non parlar delle lettere, straordinarie! Ma è una eccezione. Prendete due mostri di bravura come Jo Nesbø e Alan Bennet: il primo è un re dei gialli, diabolico costruttore di meccanismi a orologeria fine che ticchettano fino all’ultima pagina; il secondo un magistrale irriverente geniale autore di parole che fanno sorridere, e talvolta sghignazzare. Che poi: c’è chi non apprezza l’orologeria fine, o l’umorismo nero inglese. Bisognerebbe scriverci un libro, altro che un piccolo esercizio – anche se doppio – come questo: ‘Perché non a tutti piace ciò che piace a tutti’. Che ne dite, è un buon titolo, lo scrivo?
Prendiamo, dicevo, i due nuovi libri di Nesbø e Bennet: Sole di Mezzanotte (Einaudi, pagine 202, Euro 16,50 – Traduzione della specialista Eva Kampmann: il fatto che una traduttrice di alta letteratura e poesia del nord europa si misuri con un ‘giallista’ già dice molto della qualità della prosa del suddetto ‘giallista’), e Il Gioco del Panino (Adelphi, 132 pagine, 15 Euro – Traduzione, magnifica – di questo ho letto l’originale, che è del 1998, e non è mai facile tradurre Bennet! – , di Mariagrazia Gini). Da qualche libro – da quando non c’è più Harry Hole a risolvere casi in giro per il mondo, ma sempre tornando alla sua amata Oslo – lo scrittore-rocker-calciatore norvegese si sta godendo la libertà di fare tuttoquelchevuole (non è un refuso, è un rafforzativo senza parolaccia, va detto tutto attaccato). Nel libro precedente, Sangue e Neve – che a me è piaciuto di più di alcuni suoi altri celebri, e anche di questo ultimo – il protagonista era un assassino innamorato che inseguiva; in questo, un assassino che si innamora ma è inseguito. Appunto: il problema è che, perché un giallo funzioni, ci devono essere sempre quasi gli stessi ingredienti, tocca al cuoco farci sempre nuove ricette. Così, per chef Nesbø, ci sono come al solito un bambino piccolo, un cattivo cattivo cattivo, uno che non si sa se è cattivo o buono, una fuga, i peccati dell’eroe… La trama, quel che succede, contano quasi meno del come succedono, e qui la lingua del norvegese che ama l’Italia (pare venga nelle Marche ogni anno, a suonare e bere Verdicchio) fa spesso miracoli: appuntita come un bisturi, esatta come un laser, scattosa come un rap. La storia, ovvio, non ve la posso raccontare, ma diciamo che – se vi piacciono i paesaggi e le situazioni estreme – questo libro fa per voi. Il fatto poi, recente e non apprezzato proprio da tutti i Nesbiani, che al Nostro non dispiacciano più solo i finali disperati, potrebbe non dispiacere a più di qualcuno.
E adesso, yum yum yum, prendiamo Bennet. Oh, Alan, anche tu smentisci la frase di Nabokov, per me. Ogni tuo libro è una perla, e la collana è ormai lunga. Dalla “Pazzia di re Giorgio” in poi, ogni tua comparsa in libreria è l’anticipazione di un sorriso, per me. Mi viene l’acquolina in testa. E poi, quando mi siedo a tavola, mastico piano per non finire troppo presto. Anche stavolta, pur nella sua eccessiva brevità, il tuo panino è magistrale. Bene, fine delirio. I gioco del panino è una raccolta di monologhi: un addetto alle pulizie, una antiquaria, la commessa del grande magazzino…, ci parlano direttamente, come fossero da noi in stanza mentre leggiamo. Ci raccontano di sé, delle loro vite modeste e simili alle nostre, ridicole e tragiche. Bennet è un magistrale teatrante: usa le voci come il più abile manovratore di marionette, è un ventriloquo con molte teste cui da le parole. Non posso nemmeno provare a riassumere, toglierei alla semplicità la sua nobiltà, e ne resterebbe il meno e il peggio: un riassunto scialbo di un’opera che è invece brillante. Gran parte del piacere, infatti, nel leggere Bennet è gustare la sua lingua come fosse il vostro panino preferito, alla nutella o al salmone che sia. Ecco, vi è venuta l’acquolina sulla parola nutella, o su quella salmone? I primi corrano al sole di mezzanotte, i secondi cosa aspettano? C’è un panino che vi aspetta per giocare!

Valerio Fiandra

(7 aprile 2016)