… ruolo
Quando all’inizio della mia collaborazione con Moked mi fu chiesto di dichiarare il mio ruolo, avrei voluto dire ‘intellettuale’, o ‘fan di ebraismo’, o magari, meglio, ‘ingegnere aeronautico’. In coscienza, sentivo che l’unico ruolo che mi riconoscevo appropriato e incontestabile era quello, piccolo piccolo, di ebreo. Ma questo non era sufficiente a differenziarmi dai molti altri collaboratori e, forse, a rendermi idoneo alla bisogna. Optai allora per la definizione più stretta ed esclusiva del mio mestiere: ‘anglista’. Era l’unico ruolo che nessuno mi poteva contestare: per tutta la vita mi sono occupato, oltre che di qualche altra minuzia, di letteratura inglese. Che dire? Ogni altra definizione mi sembrava sarebbe stata una menzogna, o una dichiarazione di arroganza, forse anche millantato credito, o falso ideologico.
Bene, ora un amico mi dice che il termine ‘anglista’ non gli piace, gli suona strano, forse ridicolo. Mi era stato detto anche da altri, ma a questo amico influente non posso non dar retta, a rischio di interrompere un contrastante dialogo di anni cui tengo molto. Di essere un anglista non mi sono mai vergognato, fra noi del mestiere il termine è corrente, non è ritenuto né parolaccia né offesa. Ma non sono legato ai miti, e non mi dispiace, dopo tanti anni, vedermi sotto un’altra luce, rinnovato davanti allo specchio, mentre la mia immagine riflessa si assume il peso della mia età. Da oggi non sarò più me stesso, dichiarerò un ruolo più inclusivo, sperando di riconoscermi quando mi incontro. Non smetterò di svolgere, peraltro, il mio mestiere di anglista. E chissà che il mio amico influente mi saluti più volentieri.
Dario Calimani, Università di Venezia
(12 aprile 2016)