Qui Roma – Napolitano e “l’amico” Obama
Barack Obama visto dall’Italia, il suo lascito agli Stati Uniti e al mondo, i punti di forza e le debolezze della sua politica. A confrontarsi a Roma, nella sala Bloch del Senato, sul significato della presidenza Obama, il Presidente emerito della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano assieme allo storico Massimo Teodori e alla presidente Rai Monica Maggioni. Occasione dell’incontro, la presentazione dell’ultimo libro di Teodori, Obama il grande (edizioni Marsilio), dedicato all’impatto dell’attuale inquilino della Casa Bianca sulla realtà americana e non dalla sua elezione nel 2008 a oggi. Il capitolo Obama si chiuderà il prossimo 8 novembre, quando gli elettori americani sceglieranno il loro prossimo presidente ma, secondo Teodori, è già possibile analizzare e cercare di capire quale sia la sua eredità. Per Napolitano – nell’immagine, il suo saluto al termine dell’incontro con il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna – uno dei meriti del primo presidente nero degli Stati Uniti è stata la scelta di avviare una politica del dialogo, di cercare di superare lo scontro frontale in favore di un approccio più diplomatico. A riguardo il Presidente emerito ha ricordato il famoso discorso di Chicago del 2008, in cui Obama “invitava a superare le partigianerie e le piccinerie degli interessi personali. Un discorso che si può applicare anche al nostro Paese”. E sull’asse Roma-Washington, Napolitano ha ricordato anche i rapporti personali che hanno caratterizzato il suo legame con il presidente Usa che nel gennaio 2015 lo aveva definito come il miglior interlocutore italiano e “un leader lungimirante e straordinario”. “Non posso dimenticare la vicinanza personale espressa da Obama in un momento di difficoltà”, ha ricordato l’ex Presidente della Repubblica.
Tornando alla questione dell’eredità, Teodori ha spiegato che, in particolare in politica estera, “la cifra politica di Obama è stata il dialogo. Si vedano i casi Iran e Cuba”. Con il primo Washington ha siglato il famoso accordo sul nucleare, contestato dai Repubblicani e dal governo israeliano. Gerusalemme, nello specifico, è preoccupata che la rimozione delle sanzioni su Teheran (stabilite dal patto) non farà altro che aumentare il potere del regime iraniano e porterà altri soldi nelle sue casse per finanziare il terrorismo internazionale. Di un paese i cui leader invocano la distruzione di Israele, la posizione del Premier Benjamin Netanyahu, non ci si può evidentemente fidare. Ma per Teodori la forza di Obama risiede proprio nell’aver scelto una strategia diversa, anche con partner controversi come Teheran. Maggioni su questo punto ha ricordato un passaggio del discorso dello Stato dell’Unione in cui Obama spiegava che “Imitare odio e violenza dei tiranni e assassini è il miglior modo per prendere il loro posto”. La sua filosofia, spiegava Teodori, si può riassumere nell’idea di costruire una supremazia fondata sulla diplomazia e non sulla forza militare. Molte critiche si sono levate su questo punto contro l’attuale presidente Usa, considerato troppo passivo, in particolare in Medio Oriente. “Per quanto ancora devono essere gli Stati Uniti a risolvere le situazioni?”, l’interrogativo di Napolitano, che invita all’autocritica l’Europa, ricordando che gli Usa “non sono il Paese benedetto da Dio che non compie mai errori”. Dall’altra parte il presidente emerito ha messo in guardia dal parlare di un declino dell’America, ancora cuore pulsante del mondo sul fronte delle idee. Anche grazie Obama, il concetto espresso da Teodori.
d.r.
(22 aprile 2016)