25 aprile, un fiore per Geo Josz

cavaglionUn 25 aprile dominato dalla figura del sindaco-museografo? Se io fossi sindaco di Ferrara, in occasione della festa della Liberazione, farei lo sgambetto al sindaco di Predappio e invece di un museo del Fascismo che non si farà mai, chiederei soldi (pochi) per scoprire una lapide in via Mazzini. Un solo nome inciso sopra. Geo Josz, il protagonista della “storia ferrarese” di Giorgio Bassani, forse la cosa più bella scritta dall’autore di cui si va a celebrare – fino a oggi in sordina – il centenario della nascita. Lettura salubre, priva di inutili scenografie museali, utile a un giovane per capire che cosa sia stato davvero il fascismo per gli italiani.
Non chiede Geo un museo, ma nemmeno una statuetta in bronzo come lo Svevo-Schmitz che incontriamo per la strada a Trieste, anche se nel finale del racconto bassaniano aleggia con chiarezza la memoria del finale della Coscienza. Non esplode infatti a Ferrara un “ordigno”, collocato da una mente più di altre malata, ma l’urlo “furibondo” di Geo, collocato anch’esso in un punto così alto che tutta la città lo possa udire con orrore per secoli e secoli. L’urlo furibondo di Geo dovrebbe risultare oggi da un lapide silente, una lapide-monito, priva di testo, about blank. Servirebbe da antidoto contro la epigrafia retorica dei nostri 27 gennaio.
Non ce la vedo proprio, di fronte al castello dove si è consumata la lunga notte del ’43, una statua in bronzo. Una lapide bianca con sopra il nome di Geo, invece sì. Ci deporrei sotto un fiore, ogni 25 aprile, come dovrebbero fare tutti coloro che hanno a cuore la salvaguardia della memoria in un paese come il nostro che sa essere solo fazioso o smemorato, ma si rivela sempre incredibilmente lesto a inalberarsi quando si tocca il tema del fascismo e della necessità di una sua rappresentabilità complessiva (non solo la fine repubblichina dei carnefici, ma anche l’inizio e l’età del generale consenso). Chi meglio di Geo sa raccontarci la continuità fra fascismo e post-fascismo? Chi meglio di lui ha saputo metterci in guardia contro l’ideologia di una finta Liberazione che ha rimesso in circolazione, come i luigini nella Roma di Carlo Levi, i tupìn, “i topini, per il colore delle camicie” (e appunto come i topi, “quando era arrivata l’ora della resa dei conti avevano trovato subito la buca dove nascondersi”, salvo poi tornare a girare per le strade “anche essi col fazzoletto rosso al collo, aspettando il momento della riscossa?”).
Bassani in quel racconto, e in molte altre pagine che sembrano scritte da uno storico del ventennio più spregiudicato di tanti storici di mestiere, mette a nudo il legame fra ebraismo e fascismo, tema spinoso non solo in Ferrara, “nella schiera dei suoi cento fondachi e botteghe, proteggenti ognuno, nella penombra impregnata di odori, una piccola, cauta anima intrisa di mercantile scetticismo e ironia”. Soprattutto Bassani ha profetizzato la dolce anestesia che ha addormentato la coscienza italiana di fronte alle sue responsabilità. Fantasma da ritrovare, dunque, Geo Josz. Ogni 25 aprile, giorno della Liberazione non dal fascismo degli altri, contro cui è facile prendersela adesso, ma contro il fascismo che è stato dentro la nostra coscienza.

Alberto Cavaglion

(l’articolo è comparso su http://storiamestre.it/)

(25 aprile 2016)