Il settimanAle – Judaïque

alessandro-treves Piscine judaïque… è mai possibile che venga segnalata la presenza di un mikveh, così platealmente, quasi al centro di Bordeaux? Me lo chiedo dirigendomi a piedi, ancora un po’ assonnato, verso l’università. E in effetti non si tratta di un mikveh, ma di una grande piscina del ventesimo secolo, costruita in prossimità di rue Judaïque, a sua volta chiamata così per la presenza di un cimitero ebraico medievale. Ma a trarmi in inganno ha contribuito il clima rilassato di Bordeaux, con le sue strade spaziose e baciate dal sole di fine aprile. I colleghi dell’università sono premurosi nel fare in modo che possiamo rispettare la kasherut, ma anche lo staff dell’alberghetto in stile indiano sembra indovinare subito l’incrocio fra le nostre restrizioni alimentari abituali e quelle di Pesach “ma certo, scusatemi, anzi ditelo subito al mio collega che troverete domani, che non vi porti anche lui i croissant”.
Dell’antisemitismo che secondo Netanyahu dovrebbe spingere gli ebrei a lasciare la Francia, magari per andare a cacciarsi nei territori occupati, non si notano manifestazioni evidenti. Il tempio di rue du Grand Rabin Joseph Cohen è ampio e luminoso ed i numerosi presenti non danno l’aria di preoccuparsi affatto dell’accrocchio prodotto nella tefillah di fine Pesach dalla commistione fra minhagim ashkenaziti e sefarditi. Commistione dagli esiti ben più felici sui quattro tavoli imbanditi per il kiddush. Alternando matzah con tonno in salsa piccante agli spiedini di aringa e carota penso a come sarebbe il tempio di Trieste, se solo venisse anche lì il triplo delle persone che vengono di solito.
Ma è al CAPC, il Museo d’arte contemporanea, che l’ebraismo si è impadronito della bella Bordeaux, placida e consenziente. La maggior parte degli spazi espositivi, nella grande architettura a navate che era stata un magazzino di derrate coloniali, è dedicata alla mostra Why not Judy Chicago?, con la multiforme opera che l’artista ebrea americana, alfiere di un femminismo travolgente, ha prodotto in oltre cinquant’anni di attività, fra tele e ceramiche e ricami all’uncinetto, dedicati in gran parte all’organo sessuale femminile. Ed esausti dopo aver contemplato la vulva in decine e decine di interpretazioni, geometriche e floreali e siderali e fiammeggianti e con inserzioni di asparagi, i ragazzi e le ragazze francesi che visitano la mostra arrivano quasi con sollievo al video dove Judy Chicago racconta della sua riscoperta dell’ebraismo, e del viaggio in Polonia col (terzo) marito alla ricerca degli shtetl da cui venivano le rispettive famiglie. Why not Judaic Bordeaux?

Alessandro Treves, neuroscienziato

(1 maggio 2016)