Diario di un soldato
Testimoni
Una cerimonia dall’atmosfera intensa, un susseguirsi di testimonianze e di voci, di inni di speranza e frasi semplici pronunciate con grande passione.
Una cerimonia solenne, sorprendentemente seria se teniamo in considerazione lo spirito che da sempre contraddistingue gli israeliani, per la circostanza, dai toni volutamente spenti.
Celebro così Yom HaShoah, per la prima volta in una base militare, per la prima volta dal giorno dell’arruolamento, sotto un cielo privo di stelle.
Osservo e ascolto, assimilo dall’angolo riservato ad un soldato semplice quale sono, mentre gli oratori di fronte a me sfoggiano gradi, spille e simboli di ogni colore e forma. La scala gerarchica si fa sempre più chiara nella mia mente.
Prende dunque la parola, per ultima, la comandante del mio battaglione.
“Qualche anno fa ho preso parte ad un progetto chiamato Edim be Madim (testimoni in divisa), sono partita in Polonia insieme ad un variegato gruppo di comandanti, abbiamo studiato e visitato senza sosta, abbiamo visto e toccato con mano l’orrore. Il seminario si è concluso con una cerimonia nel campo di Auschwitz e d’un tratto, guardandomi intorno, mi sono immaginata cosa un superstite allo sterminio potesse provare nel vederci indossare la divisa con tanto orgoglio. Due bandiere di Israele ai nostri lati, un aereo dell’aviazione israeliana sopra le nostre teste. Tra sogno e realtà, mi sono ripromessa in quel preciso istante che mai più il popolo ebraico sarebbe stato vittima di odio e discriminazioni, mai più nessun ebreo avrebbe nascosto la proprio identità, subito alcuna violenza. Mai più”.
Abbasso lo sguardo e trovo finalmente le stelle assenti sopra di me. Decine e decine di candele accese riflettono ora la speranza di un popolo che non cesserà mai di esistere.
Brillano sotto i miei occhi lucidi proprio come fossero stelle, di quelle che non si spengono nemmeno dopo il più feroce degli uragani.
David Zebuloni
(6 maggio 2016)