YOM HAATZMAUT 5776 Il grande miracolo
Paradossalmente una rara occasione di incontro ideologico fra haredim e laici è data proprio dalla considerazione per lo Yom HaAtzmaut, l’anniversario dell’indipendenza dello Stato d’Israele. Lo scorso anno i miei allievi di Milano, tutti di stretta osservanza, mi domandarono se vi avrei o meno recitato i Tachanunim, le preghiere penitenziali come in un qualsiasi giorno feriale. Sotto i loro sguardi attoniti risposi che non solo non l’avrei fatto, ma avrei aggiunto i salmi del Hallel come nelle feste, sia pure senza la relativa benedizione e soggiunsi che c’è nel mondo nazional-religioso anche chi dice la benedizione. Rientrato a Torino in un ambiente di orientamento completamente diverso mi fu chiesto all’improvviso: “Perché voi religiosi vi siete impossessati di Yom HaAtzmaut, che è una festa laica?” Insomma, su un punto tutti i miei interlocutori concordavano: Yom HaAtzmaut non ha alcuna valenza halakhica. Entrambi sono kefuyyè tovah, “ingrati”! Non affronto qui una discussione approfondita sull’ebraismo “laico”. Mi basti dire che parlando delle sciagure Maimonide, il grande razionalista, ci invita a non affidarle al caso, bensì a interpretarle come un monito da parte di H. sul male da noi compiuto e come uno sprone a fare Teshuvah. Per questo i nostri Maestri istituiscono digiuni in occasione di disgrazie. Se così commemoriamo le ricorrenze tristi, tanto più dobbiamo festeggiare le occasioni liete come un atto di gratitudine al S.B. per i benefici che ci ha elargito. Va da sé che chi è credente e osservante vede nei passi della Storia, buoni o cattivi che siano, il segno di una Mano più grande che opera nell’interesse del Bene. Il fatto che talvolta Egli si serva di persone molto lontane da Lui per portare avanti i Suoi progetti, non è sufficiente a negare valore religioso alle Sue azioni: si pensi agli Assiro-Babilonesi, definiti dai Profeti shevet appì (“bastone dell’ira” del Santo Benedetto: Yesha’yahu 10,5) in quanto investiti da H. di una missione punitiva nei confronti dell’antico Israele; in modo uguale e contrario gli stessi fautori “laici” del sionismo moderno hanno realizzato un sogno carico di significato religioso, sia pure senza riconoscerlo e senza essere riconosciuti! È quel sogno di cui oggi beneficiano largamente anche gli ortodossi. Quando venticinque anni or sono studiavo alla Yeshiva University di New York, ricordo che l’insegnante ottantenne, reduce dalle Yeshivot lituane dell’anteguerra spazzate via dal nazismo, interruppe un giorno la lezione di Talmud per esclamare: “Ai miei tempi non si studiava Torah: oggi sì che si studia Torah!”. Quanto sono ancor più vere quelle parole oggi, un quarto di secolo dopo! Questa fioritura degli studi ebraici senza precedenti non sarebbe stata pensabile senza la Medinat Israel, che torna dopo secoli a essere a tutti gli effetti il centro intellettuale e spirituale di tutto il popolo ebraico. Ecco che la fondazione dello Stato rivela sempre più il proprio carattere ruchanì. Perché non ringraziare il S.B. di un simile miracolo? Accennavo al fatto che i nostri Maestri hanno stabilito la recitazione del Hallel in giornate segnalate come forma di ringraziamento per i miracoli di cui abbiamo beneficiato da parte di H. Le più antiche attestazioni sono in alcuni Yamim Tovim indicati nella Torah: Pessach, Shavu’ot e Sukkot. Essi ricordano rispettivamente l’Uscita dall’Egitto, il Dono della Torah e la protezione accordataci durante i quarant’anni trascorsi nel deserto. Ma non solo. Recitiamo il Hallel con la relativa Berakhah anche negli otto giorni di Chanukkah per commemorare gli eventi dei Chashmonaim: questa è una dimostrazione del fatto che la Halakhah ha saputo rinnovarsi in epoca post-biblica. Spiega infatti il Talmud (Pessachim 117a) che “i Profeti stabilirono che il Hallel fosse recitato dopo la liberazione da qualsiasi sciagura” anche recente. Ne consegue che la recitazione dello Hallel è parimenti giustificata per lo Yom HaAtzmaut, che segna la proclamazione della nostra indipendenza nazionale dopo duemila anni di esilio e persecuzioni. Rimane materia di discussione se lo Hallel di Yom HaAtzmaut debba essere accompagnato dalla relativa Berakhah o meno. Chi esprime cautela si basa su diverse valutazioni. Le principali sono le due seguenti: 1) La proclamazione dello Stato d’Israele non ha segnato l’inizio di un’epoca di tranquillità. Al contrario: sono cominciate le guerre e il terrorismo. Vero. Ma anche per questo aspetto è istruttivo l’illustre precedente di Chanukkah. In quel caso il Hallel fu istituito sì dopo la prima vittoria, quella che portò alla liberazione di Yerushalaim dai Greci, sebbene questa sia stata seguita da una lunga fase di guerre in alcuni casi persino intestine. Nonostante ciò il Hallel di Chanukkah con la Berakhah è stato accettato come un obbligo fino a oggi. 2) Il Chidà (Resp. Chayim Shaal, 2,11) scrive che si può recitare la Berakhah sul Hallel solo se il miracolo riguarda tutta la collettività d’Israele. Finora la popolazione ebraica residente nella Terra dei Padri non raggiungeva il 50% del totale mondiale e questo ha rappresentato indubbiamente una difficoltà. Ma sappiamo che il momento del “sorpasso” è ormai vicino. Nel momento in cui la maggioranza degli Ebrei del mondo vivrà in Israele potremo affermare secondo la Halakhah che “la maggioranza equivale alla totalità” (rubbò ke-khullò) e verrà a cadere il principale motivo ostativo affinché Yom HaAtzmaut possa essere accolto fra le grandi festività del popolo d’Israele a pieno titolo.
Rav Alberto Moshe Somekh, Pagine Ebraiche, maggio 2016