JCiak – Sono dappertutto
“Sono qui – spiega Yvan allo psicologo – perché mia moglie dice che ho un vero problema con l’antisemitismo: dice che sono ossessionato”. Prende così il via una serie di sedute che vedono scorrere un fiume in piena di luoghi comuni e pregiudizi antiebraici radicati nel profondo della società francese e purtroppo diventati in questi anni stretta attualità. A metterli in scena, in un fuoco di fila di sketch, è Il sont partout di Yvan Attal, da ieri in Francia nelle sale cinematografiche.
Scritto e interpretato dallo stesso Attal, il film dichiara fin dal titolo il suo soggetto. Il sont partout rovescia infatti il Je suis partout che funge da testata a un foglio antisemita tristemente diffuso in Francia fra gli anni 30 e il 44, quando, dopo la Liberazione, la redazione viene arrestata e condannata. I dialoghi fra Yvan e lo psicologo sono dunque la cornice narrativa attraverso cui si evocano fantasmi antichi che alla luce del rinascente antisemitismo assumono una luce ancora più inquietante.
Yvan è abituato a sentirsi dire che esagera, che è paranoico, ma non si rassegna. Nel corso delle sedute tenta dunque di sciogliere i fili della sua identità di ebreo francese, chiamando in scena una sarabanda di storie e personaggi.
C’è la coppia di dirigenti di estrema destra, in cui lei (Valérie Bonneton) flirta con il neonazismo finché lui (Benoît Poelvoorde) scopre di essere ebreo. Ci sono il poveraccio di periferia (Dany Boon) che la moglie (Charlotte Gainsbourg) accusa di essere l’unico ebreo al mondo sprovvisto di senso degli affari; un agente del Mossad (Gilles Lellouche) inviato nel passato per eliminare Gesù e di conseguenza l’antisemitismo cristiano e c’è persino un presidente francese (un Patrick Braoudé molto somigliante all’attuale presidente) che tenta di convertire l’intera nazione all’ebraismo.
Non manca, infine, un accenno alla Shoah nella storia di un abitante di Drancy (François Damiens) sopraffatto dalle cerimonie di commemorazione organizzate tutti gli anni sotto casa sua.
Il tono è da tragicommedia ma sullo sfondo aleggiano gli spettri del Medio Oriente in fiamme e soprattutto la crudele rinascita dell’odio antiebraico in Francia. “Ho deciso di fare questo film quando mi sono reso che nel paese l’antisemitismo cresceva”, spiega Yvan Attal. “Ho preso a scriverlo una decina di anni fa, quando Dieudonné ha cominciato con le sue battute malvagie e mi trattavano da paranoico se lo sospettavo di antisemitismo. Poi ho lasciato stare e mi sono dedicato ad altri film. Probabilmente la voglia di parlare di questo argomento non era ancora così forte. Ma non si sceglie il proprio soggetto, è lui che sceglie voi. Nel mio caso si è imposto, purtroppo, qualche anno più tardi con Merah e Halimi … prima del gennaio 2015. Mi è montata dentro la rabbia. Rabbia di non essere ascoltato abbastanza, di non sentirmi un francese come gli altri”. (Mohammed Merah è il responsabile dell’attacco alla scuola Ozar Torah di Tolosa nel 2012. Ilan Halimi è il ventitreenne ebreo rapito nel 2006 a Parigi e morto dopo tre settimane di atroci torture).
La sceneggiatura, per cui Attal ha lavorato insieme a Emilie Fréche, è stata pronta proprio mentre la tragedia di Charlie Hebdo e dell’Hypercacher riportavano alla ribalta l’estremismo dell’odio. “Il mio – spiega però il regista – non è un film di attualità ma un film sulla società, che vuole raccontare il malessere che provo in quanto ebreo nel mio paese, la Francia”.
Il filmnon ha del tutto convinto Le Monde. “L’ambizione di Yvan Attal scrivendo, realizzando e interpretando Ils sont partout è immensa: fare un quadro esauriente dell’antisemitismo in Francia”, scrive Thomas Sotinel. “Il metodo scelto, il film a sketch, – continua – riduce di molto l’ampiezza del progetto. Una mezza dozzina di storie in appena due ore: non ci sarà il tempo di andare più a fondo. In ogni caso Ils sont partout è un film singolare, una commedia a tesi – e non ce ne sono molte – su un soggetto la cui essenza non si presta alla risata, la cui esecuzione mostra una certa disinvoltura”.
Entusiasta invece Michel Kichka, celebre cartoonist che da quarant’anni vive in Israele dove insegna alla Bezalel Academy di Gerusalemme. “E’ un film coraggioso. Un film necessario che va molto lontano nel suo scherno, nell’humor e nella serietà. Un film che disturba nel senso positivo del termine, perchè interroga lo spettatore che non può accontentarsi di guardarlo passivamente. Con la sua aria falsamente leggera (…) è un uno specchio impietoso che ci rinvia ai più triti stereotipi antisemiti”.
“Il film – conclude Kichka – dà ampio spazio allo spettatore che è libero di identificarsi o meno, amare o non amare, ridere o no. Nessuno però può restare indifferente. Nessuno può uscire indenne. In altre parole, se non avete ancora capito: andate a vederlo!”.
Daniela Gross
(2 giugno 2016)