Periscopio – Le guerre dei romani

lucreziÈ stato presentato sabato scorso a Napoli, all’Associazione Lucana “Giustino Fortunato” (con interventi, oltre che dell’autore, di Marisa Tortorelli, Donata Violante e del sottoscritto), un libro di grandissimo interesse, “Le guerre ebraiche dei Romani” (ed. il Mulino), scritto da Ariel Lewin, professore di Storia romana presso l’Università della Basilicata e tra i massimi conoscitori della storia dell’antico Vicino Oriente (segnatamente, della condizione degli ebrei nell’impero romano, delle provincie di Iudaea e di Syria-Palestina e dei rapporti tra romani e arabi).
Il volume, rivolto a un pubblico più ampio di quello dei soli specialisti, scritto in una prosa semplice e avvincente, si legge come un romanzo. In esso vengono ripercorse le varie tappe di un percorso accidentato e tragico, nel quale vengono a maturazione gli eventi epocali che avrebbero determinato non solo il successivo destino del popolo ebraico, ma anche le complessive sorti della civiltà occidentale: dai rivolgimenti politici e culturali della società giudaica nell’età ellenistica (con i tentativi di assimilazione forzata condotti dai Seleucidi e la vittoriosa resistenza dei Maccabei) all’egemonia degli Asmonei, dalla conquista di Gerusalemme all’opposta politica filo-ebraica di Cesare (con le nuove funzioni attribuite al Sommo Sacerdote Ircano e all’epìtropos Antipatro), dal sanguinario regno di Erode alla costituzione della provincia di Iudaea, dall’insurrezione del 66-70 (che, com’è tristemente noto, si concluse con la distruzione del Tempio e poi con l’eccidio di Masada), dalle successive rivolte in Cirenaica, Egitto e Mesopotamia fino alla seconda grande guerra di Bar Kochbà (che sarebbe stato salutato come Messia dal grande Rav Akivà) (132-136), dall’esito altrettanto funesto. Sono gli anni nei quali avviene la passione di Cristo, e, poco dopo, si consuma, da parte dell’esercito romano, la spietata “vendetta della vendetta del peccato antico” (Paradiso, VI 92-93), con il futuro imperatore Tito eletto, dalla teologia cristiana, a strumento di realizzazione del disegno di giustizia divina (mentre suo padre, Vespasiano, secondo lo storico Flavio Giuseppe, comandante dell’esercito ebraico arresosi ai romani e passato poi dalla loro parte, sarebbe stato egli stesso il vero Messia, cosa che i figli d’Israele, nella loro cecità, non avrebbero voluto capire), e nei quali avviene la fine della ultramillenaria storia politica del popolo ebraico in terra d’Israele, risalente alle campagne di Giosué e ai regni di Saul, Davide e Salomone, e che sarebbe ripresa solo con la visione di Theodor Herzl e il sionismo.
Lewin aiuta, nelle sue pagine, non solo a ricostruire la realtà degli eventi, sottoponendo a un’attenta analisi critica le varie testimonianze documentali a nostra disposizione, ma anche ad avvicinarci alla radice nascosta delle tragedie consumate, a cogliere il senso di ciò che è accaduto e anche a interrogarci su cosa avrebbe invece potuto accadere. Se ogni storia, sempre, parla del nostro eterno presente (de te fabula narratur), ciò vale particolarmente, com’è evidente, per i fatti esposti nel libro, che ci riportano alle origini di una cicatrice ancora aperta, e che continua a scuotere e interrogare. Erano davvero assolutamente inconciliabili le ragioni di Roma (il governo del mondo, che, com’è noto, non poteva tollerare, all’interno dei propri confini, una zona franca, sottratta alla propria giustizia) e quelle di Israele (che non poteva inchinarsi innanzi a nessuno, fuorché al Creatore?). O forse aveva ragione il “traditore” Flavio Giuseppe, secondo cui ci sarebbe stata una via praticabile di convivenza pacifica, spezzata dalla proterva degli empi prefetti di Roma e dal fanatismo degli zeloti? Ogni lettore sarà libero di maturare, da solo, un proprio convincimento, sulla base dei dati offerti dal pregevole libro di Lewin. Il quale, pur dedicato a vicende tanto tragiche e dolorose, si chiude però con uno spiraglio di speranza, rievocando l’apertura di una nuova, fondamentale pagina della storia del popolo ebraico, ossia la redazione della Mishnah da parte di rav Yehuda ha-Nassì, “il Principe” (il quale, secondo la tradizione, sarebbe stato amico personale dell’imperatore). Esasperata per le continue ribellioni degli ebrei, Roma ebbe evidentemente tutto l’interesse a convogliare le energie ebraiche verso una nuova strada di studio e riflessione, lontana dalle tentazioni della politica. Una strada che non si sarebbe mai interrotta, e che sarebbe durata ben di più dell’impero romano, permettendo anche, dopo un lungo viaggio, la rinascita politica della nazione ebraica

Francesco Lucrezi, storico

(8 giugno 2016)