Letture omeopatiche

Valerio-Fiandra 2 Le elezioni mi fanno male. Non è una maledizione divina: è da qualche anno che ho questa malattia ciclica, una specie di allergia da pollini, che torna a manifestarsi ogni volta che i cittadini italiani come me vengono chiamati alle urne. Cioè sempre, da quando chi fa politica e chi ne scrive hanno capito che vincere o perdere alle elezioni è comunque meglio (per loro) che governare o educare. Ma cosa c’entra questa (solo mia?) condizione con i libri, con la letteratura e gli dei? Aspettate poche righe e avrete la medicina che – come sempre – è più una questione di esercizio che di principio attivo.
Alcuni di noi cittadini sopra i 18 anni ne sono immuni, lo so; non ho capito ancora se è perché sono troppo intelligenti o troppo stupidi, ma per loro l’astensione non è una questione che si presenta solo al momento istituzionale, è una condizione comune e continuativa. A me, però, e fin da piccolo, è stata diagnosticata la malattia opposta, la ‘partecipite’. Non solo e non tanto nel senso di sentire il dovere o il piacere di partecipare, in generale, al Gioco del mondo che appassiona e affligge tutti noi dal giorno della Creazione in poi, ma soprattutto nel sentimento – che in me è fortissimo – di sentirsi partecipato da tutto ciò che mi avviene attorno, e attorno significa ormai sia il tavolo sul quale scrivo sia la più remota regione che – tramite computer – arriva sul mio tavolo. Con gli anni e le ferite sono un poco migliorato, ma soffro ancora quando vedo quanto e come l’esercizio principe – quello che più conta, quello del ragionare prima di decidere, ovvero l’esercizio del nostro diritto alla libertà, del libero arbitrio faticosamente conquistato sia minacciato, e talvolta abbattuto ormai. Prima di passare alla cura, una sola precisazione, a scanso di equivoci. Non è che io mi senta più intelligente, ho tali prove costanti della mia ignoranza e limitatezza che – proprio per questa ragione – sospetto di me e dei miei pensieri e scelte: di conseguenza cerco di ragionare, di pensare due volte – anche tre – prima di conformarmi a loro. In altre parole: ho un metodo, cerco di applicarlo; non so se funzioni per farmi pensare, scegliere, o votare meglio; so che mi rende un poco consapevole dei miei errori, molto consapevole della mia irrilevanza e un poco felice dei miei successi. Si chiama leggere.
Sì, ma cosa? In una formula: meno giornali (web, tv, etc.), più libri. Sì, ma quali libri? Non lo so, sarei tentato da dire tutti, perché conta più l’esercizio dell’attrezzo, ma capisco che l’indeterminazione possa passare per confusione, e allora vi scrivo di quelli che ho letto e sto leggendo.
Nelle settimane appena trascorse, e per le due prossime, ho avuto sul comodino o sul Kindle molti libri, tutti già letti, cui torno per il trattamento omeopatico di cui ho bisogno.
Creazione, di Gore Vidal (Fazi Editore, traduzione di Stefano Tummolini). Una storia della Storia, ai tempi dei persiani e dei greci, degli indiani e dei cinesi antichi – scritta in modo straordinario da un gigante della letteratura: spiritoso, preciso, appassionante, avventuroso. Lo consiglio a tutti, ma soprattutto ai molti fan di Game Of Thrones (Il trono di spade) in versione libro o televisiva: imparerete divertendovi. Andrete così lontano da questo nostro tempo da riconoscere sia ciò che è cambiato (poco), sia ciò che è sempre lo stesso.
La letteratura e gli dei, di Roberto Calasso (Adelphi). Un libro abisso. Sospesi sul filo delle parole avrete le vertigini; seduti al salvo possiamo toccare la tragedia e scoprire la commedia delle nostre vite. Le sorti di questo o di quello vi appariranno in prospettiva, e scusate se è poco.
Felictà: un’ipotesi, di Jonathan Haidt (Codice Edizioni). Un tuffo nel mare della ricerca scientifica, dove conterà più il nuotare che il raccogliere le perle che pure ci sono. Non è un manualetto, è un viaggio nella nostra condizione umana, scritto come un romanzo, il nostro romanzo.
Rayuela – Il gioco del mondo, di Cortazar (Einaudi). IL romanzo del gioco più bello del mondo, quello che giochiamo tutti, vivere: l’unico gioco in cui il pareggio è vincente.

Valerio Fiandra

(9 giugno 2016)