L’iniziativa di una sinagoga di Washington
“Dopo Orlando, uniti nel dolore”

rtx2g2mk2-e1465880371963 “Quando un rabbino e alcuni frequentatori di una sinagoga ortodossa entrano in un locale gay afro-americano, non è la battuta iniziale di una barzelletta. È invece un’opportunità per creare una connessione, rompere le barriere e stare uniti, è un’opportunità per imparare che se vogliamo sopravvivere, abbiamo tutti bisogno l’uno dell’altro”. Scrive così Shmuel Herzfeld, rabbino della sinagoga modern orthodox Ohev Sholom di Washington, nel raccontare sul Washington Post la sua visita insieme ad alcuni membri della sua congregazione al Fireplace, un bar gay della capitale statunitense, nelle ore immediatamente successive all’attentato di Orlando. Un gesto simbolico di solidarietà, “per condividere il messaggio che provavamo tutti un enorme dolore e che le nostre vite non stavano andando avanti come se tutto fosse normale”.
Poiché la notizia è arrivata mentre era ancora in corso la festività solenne di Shavuot, in cui non ci si può spostare e non si può utilizzare internet, è stato direttamente dall’altare che Herzfeld ha annunciato che al termine esatto della festa lunedì sera un gruppo avrebbe subito compiuto l’atto solidale di recarsi in un locale gay direttamente dalla sinagoga dopo la funzione. “Sebbene la ricorrenza sia un’occasione gioiosa – ricorda il rabbino – avevo le lacrime agli occhi mentre recitavo le nostre preghiere”.
Una volta arrivati al Fireplace con le kippot in testa, ma senza nemmeno essere sicuri che fosse il posto giusto, e senza addirittura, nel caso del rabbino, essere entrato in un qualsiasi bar negli ultimi vent’anni, “non sapevamo cosa aspettarci – continua Herzfeld – ma è venuto fuori che avevamo tanto in comune”. Lo hanno capito grazie alla guardia di sicurezza all’entrata del locale scoppiata in lacrime quando la madre del rabbino gli ha spiegato cosa ci facesse lì quella strana combriccola, perché suo cugino era una delle quarantanove vittime della strage del Pulse a Orlando; grazie al barista che ha spento la musica nel locale perché le preghiere di Herzfeld e i suoi risuonassero nella stanza e ha trasformato il bancone in un ripiano per le candele in ricordo dei morti; grazie agli avventori, che hanno stretto uno le spalle dell’altro e cantato con un’unica voce. “Tutti nel bar si abbracciavano l’un l’altro – ha raccontato il rabbino – ed è stato potente e commovente, vero e forte”.
Poi, dopo un bicchiere di birra offerto a tutti, il gruppo si è spostato nella piazza del Dupont Circle per un’improvvisata cerimonia all’aperto, ancora una volta senza sapere bene cosa aspettarsi. “Ma mentre ci riunivamo in cerchio, le persone hanno cominciato ad avvicinarsi e ad abbracciarci”, scrive ancora Herzfeld. “Mentre cantavamo, ho guardato alcuni membri gay della nostra congregazione, e mi sono accorto che piangevano. Ho percepito con chiarezza che stiamo vivendo in un momento di grandissimo dolore – la sua conclusione – ma ho anche sentito che quella notte era stata una straordinaria lezione di vita”.

f.m. twitter @fmatalonmoked

(Nell’immagine, una manifestazione a Orlando dopo la strage compiuta da un terrorista in un locale gay della città)

(16 giugno 2016)