Venezia, gli ebrei, l’Europa
La grande mostra apre i battenti

Schermata 2016-06-17 alle 15.22.04Venezia, gli ebrei, l’Europa. Cinque secoli di storia, quelli che ci separano dalla decisione della Serenissima di circoscrivere la presenza ebraica di Venezia nei confini di un quartiere chiuso. Cinque secoli necessari per interpretare Venezia e capire la città, per studiare le vicende ebraiche, per prefigurare l’Europa di domani. In piazza San Marco, Nel grande, fervente cantiere del Palazzo Ducale, dove si mettono a punto gli ultimi dettagli prima della cerimonia ufficiale d’apertura di domenica, la direttrice della Fondazione Musei civici di Venezia Gabriella Belli e la curatrice della grande mostra che caratterizzerà l’estate culturale italiana Donatella Calabi hanno accolto i giornalisti per un sopralluogo preliminare.
Proprio da questo palazzo, è stato detto dalle due studiose negli interventi di saluto, usciva il decreto di istituzione del primo ghetto della storia. Era quindi importante che lo stesso palazzo aprisse le porte a una grande iniziativa culturale che non deve servire solo a ricostruire le vicende del ghetto, ma deve restituire la presenza ebraica alle vicende complessive della città. Oltre il ghetto, e oltre i 500 anni, la mostra combina la presenza di opere d’arte straordinarie, pervenute a Venezia da tutto il mondo grazie a prestiti eccezionali e probabilmente irripetibili, ad allestimenti multimediali che consentono al visitatore di entrare in maniera viva nelle vicende e nei significati.
Schermata 2016-06-17 alle 15.21.54La mostra, realizzata con il contributo determinante della Comunità ebraica di Venezia, guarda molto al di là dell’orizzonte temporale che ci separa dal 1516, comincia dagli inizi della storia ebraica in Laguna e dalle prime fonderie di rame nella zona del ghetto e si conclude con i tempi nostri, con un suggestivo richiamo alla necessità ebraica di costruire memoria viva anche attraverso un segno, un gesto tangibile messo alla portata di ogni visitatore.
La mostra assume così necessariamente un significato che va al di là della raccolta e dell’itinerario fra le opere d’arte, dipinti, sculture, libri rarissimi nella città che è stata la culla anche della tipografia ebraica, ma si articola in un’esperienza più ricca che stimola alla comprensione e alla partecipazione anche il visitatore meno informato e più distante dalla conoscenza ebraica. L’apparato multimediale poderoso, che consente di inquadrare nel suo contesto ogni opera esposta, la presentazione di scoperte emozionanti, come le note ritrovate del canto cinqucentesco in yiddish dove si racconta dal vivo del terribile incendio che devastò il mercato di Rialto. La particolare attenzione dedicata all’accoglienza delle giovani generazioni e al pubblico infantile, che potrà godere di apposite iniziative dedicate.
I mille aspetti di una mostra fuori dal comune, allestita nel quadro di uno dei luoghi più spettacolari e suggestivi d’Italia, contribuiranno nei prossimi mesi a tenere viva l’attenzione di moltissimi visitatori sui difficili, plurimillenari itinerari degli ebrei italiani e sui valori che gli ebrei di Venezia e gli ebrei italiani continuano a testimoniare di generazione in generazione.
La mostra Venezia, gli ebrei e l’Europa (1516-2016) allestita nell’Appartamento del Doge di Palazzo Ducale, sarà visitabile fino al 13 novembre 2016.
**
Il luogo era delimitato da due porte che, come aveva precisato il Senato il 29 marzo 1516, sarebbero state aperte la mattina al suono della “marangona” (la campana di San Marco che dettava i ritmi dell’attività cittadina) e richiuse la sera a mezzanotte da quattro custodi cristiani, pagati dai giudei e tenuti a risiedere nel sito stesso, senza famiglia per potersi meglio dedicare all’attività di controllo. Inoltre si sarebbero dovuti realizzare due muri alti (che tuttavia non saranno mai eretti) a serrare l’area dalla parte dei rii che la avrebbero circondata, murando tutte le rive che vi si aprivano. Due barche del Consiglio dei Dieci con guardiani pagati dai nuovi “castellani”, circoleranno di notte nel canale intorno all’isola per garantirne la sicurezza. Il 1 aprile successivo, la stessa “grida” venne proclamata a Rialto e in corrispondenza dei ponti di tutte le contrade cittadine in cui risiedevano i giudei.
Organizzata in occasione del cinquecentenario dell’istituzione del Ghetto di Venezia, curata da Donatella Calabi con il coordinamento scientifico di Gabriella Belli e il contributo di un nutrito pool di studiosi, la mostra Venezia, gli ebrei e l’Europa 1516 – 2016 intende descrivere i processi che sono alla base della nascita, della realizzazione e delle trasformazioni del primo “recinto” al mondo destinato agli ebrei.
Allo stesso tempo lo sguardo si allarga, abbracciando le relazioni stabilite con il resto della città e con altri quartieri ebraici (e non solo) italiani ed europei, a sottolineare la ricchezza dei rapporti tra gli ebrei e Venezia e tra gli ebrei la società civile, nei diversi periodi della loro lunga permanenza in laguna, in area veneta e in area europea e mediterranea. L’intento è infatti una maggiore consapevolezza delle diversità culturali esistenti nella Venezia cosmopolita d’inizio Cinquecento e della commistione di saperi, conoscenze, abitudini che ne costituiscono tuttora il principale patrimonio.
Non solo un lavoro d’indagine sull’area specifica dei tre ghetti (Nuovo, Vecchio e Nuovissimo) dunque, ma anche una riflessione sugli scambi culturali e linguistici, sulle abilità artigianali e sui mestieri che la comunità ebraica ha condiviso con la popolazione cristiana e le altre minoranze presenti in un centro mercantile di straordinaria rilevanza. L’arco cronologico preso in considerazione va oltre la caduta della Repubblica e l’apertura delle porte per volere di Napoleone: apparirà in mostra anche il ruolo degli ebrei nell’età dell’assimilazione e nel corso del Novecento.
Importanti dipinti – da Bellini e Carpaccio, da Foraboschi a Hayez e Poletti, da Balla a Wildt fino a Chagall – disegni architettonici d’epoca, volumi in rarissime edizioni originali, documenti d’archivio, oggetti liturgici e arredi, ricostruzioni multimediali permettono di dar conto di una vicenda di lungo periodo, fatta anche di permeabilità, di relazioni e scambi culturali.
L’ipotesi di partenza del progetto infatti è che la storia dell’istituzione del Ghetto a Venezia debba essere studiata nel quadro della più generale gestione da parte della Repubblica Veneta delle minoranze nazionali, etniche e religiose che vivevano nella città, capitale di una “economia mondo”, come la chiamava lo storico Fernand Braudel. Ma si tratta anche di spiegare come queste relazioni si siano via via allargate a un ambito geografico molto vasto e siano continuate nel tempo, adattandosi ai cambiamenti politici, sociali e culturali.
Nei primi decenni del XVI secolo la Repubblica Veneta aveva messo in atto una strategia urbana di accoglienza, offerta di garanzie e contemporaneamente di sorveglianza, più o meno rigida nei confronti anche di altre comunità nazionali e religiose, importanti per le proprie attività economiche come i popoli del Nord (con il Fondaco dei Tedeschi), i greci ortodossi (con la concessione di costruire a loro spese una chiesa e un collegio) e via via gli albanesi, i persiani, i turchi.
Gli ebrei, al pari d’altre minoranze, erano “preziosi” per la Serenissima (come si legge in alcuni documenti): le sue magistrature, alcuni nobili, lo stesso doge Leonardo Loredan, che era “principe” al momento del decreto istitutivo (29 marzo 1516), ne erano perfettamente consapevoli.
Ciononostante Venezia, che aveva concesso agli ebrei presenti sul proprio territorio – anche quando l’Europa li stava cacciando dopo i noti decreti d’espulsione dalla Spagna (1492) e dal Portogallo (1496) – d’entrare in città come rifugiati di guerra, in seguito alle drammatiche conseguenza della lega di Cambrai e alla sconfitta di Agnadello, si pose presto il problema di come trattare la minoranza ebraica.
“La posta in gioco era la difesa dei valori culturali fondamentali per la loro percezione di se stessi. Vale a dire – secondo Robert Bonfil – di tutti quei valori che “il mito di Venezia” reputava i più essenziali in assoluto: giustizia, libertà e benessere, il tutto radicato nel buon governo e non da ultimo nella difesa dell’etica cristiana, senza la quale non sono concepibili né la giustizia né il benessere”.
La scelta di non cacciare gli ebrei ma di mantenerli dentro il ghetto fu vissuta come il male minore e la chiusura, una palese discriminazione, finì per trasformarsi anche in un’utile difesa, perché gli ebrei, soggetto politicamente debole all’esterno delle mura, diventarono all’interno autonomi, quasi padroni delle loro azioni, in molti casi ben più di tanti abitanti e sudditi che vivevano alla completa mercé del doge, del principe, del papa o del re. A Venezia questo Hazzer (parola ebraica per definire il recinto), il Ghetto – preso a modello negativo in tutta Europa come realtà fisica e come termine – si trasformò a poco a poco in un’istituzione quasi a sé, “uno scudo”, come scrive Riccardo Calimani, “che, pur nella precarietà dilagante disponeva, nonostante tutto, di poteri e privilegi che gli permettevano di farsi ascoltare e di trattare con i propri interlocutori all’esterno, con una libertà d’iniziativa in qualche caso sorprendente”.
Cosmopolita al suo interno – ove vennero a convivere ebrei tedeschi e italiani, ebrei levantini, ponentini e portoghesi – il Ghetto di Venezia fu dunque una realtà fortemente permeabile, in costante interazione con l’esterno e in primis con la città lagunare, essa stessa straordinariamente multinazionale e multietnica, per convinzione o pragmatismo.
La mostra a Palazzo Ducale, che ci accompagna in un affascinante viaggio, tra arte, storia e cultura, illustra dunque la distribuzione degli insediamenti ebraici in Europa dopo il 1492; l’istituzione del primo vero e proprio ghetto al mondo; il dibattito sulla sua localizzazione; la crescita e la conformazione urbana e architettonica delle successive espansioni (il Ghetto Novo, il Vecchio e il Novissimo); le relazioni con il resto della città (le botteghe realtine, il cimitero, l’escavo del Canale degli Ebrei), la reintegrazione novecentesca.
Vengono messe in luce regole ma anche divieti, abusi, conflitti e scambi; viene raccontata la società del Ghetto, composta da comunità differenti tra loro per rito religioso, lingue parlate, abitudini alimentari; e poi la ricchissima produzione culturale ebraica. Accanto alla narrazione delle vicende insediative, s’intrecciano incontri con personaggi significativi, racconti di viaggio, letteratura, musica, teatro.
Distribuita in 10 sezioni tematiche e cronologiche nelle sale degli appartamenti del Doge – Prima del Ghetto, La Venezia cosmopolita, Il Ghetto cosmopolita, Le sinagoghe, Cultura ebraica e figura femminile, I commerci tra XVII e XVIII secolo, Napoleone: l’apertura dei cancelli e l’assimilazione, Il mercante di Venezia, Collezioni, collezionisti, Il XX secolo – l’esposizione è corredata anche da apparati multimediali e innovative tecnologie di grande suggestione, elaborate da Studio Azzurro.
Venezia, gli ebrei e l’Europa, 1516-2016 è promossa dalla Città di Venezia e dalla Fondazione Musei Civici di Venezia, con il sostegno del Comitato “I 500 anni del Ghetto di Venezia”, della Comunità Ebraica di Venezia e dell’Unione delle Comunità Ebraiche italiane, con il contributo della Regione del Veneto, Save Venice Inc, The Gladis Krieble Delmas Foundation, Venetian Heritage, David Berg Foundation New York, Fondazione Ugo e Olga Levi. Il progetto multimediale è realizzato in collaborazione e con il supporto della Fondazione di Venezia.
Ricchissimo di contributi il catalogo edito da Marsilio Editori.

(17 giugno 2016)