Il settimanAle – Il mio imbarazzo
‘La grande massa del popolo non è composta né da professori né da diplomatici. È poco accessibile alle idee astratte. Per contro, la si potrà più facilmente manipolare nel campo dei sentimenti, poiché è lì che si trovano i meccanismi segreti delle sue reazioni.’ In questo passaggio del Mein Kampf, Adolf Hitler appare ignobilmente lucido. Ed in questi giorni di polemiche seguite alla distribuzione del libro con Il Giornale, mi si rinnova l’imbarazzo per la scoperta, che feci imbattendomi in un articolo sul New York Times del 2004, che la prima traduzione in italiano fu opera di un altro A. Treves, un certo Angelo. Non sarà per caso un mio parente? Ma perché mai avrà voluto tradurlo?
Angelo Treves non era un diplomatico, ma un avvocato e professore ebreo, esperto traduttore dal tedesco, con al suo attivo, fra molte altre, e dopo quella del Mein Kampf, la traduzione del romanzo Varsavia del grande scrittore yiddish Shalom Asch. Non sembra essere stato un sempliciotto facilmente manipolabile, tantomeno a dare addosso alla propria gente. Si è calcolato che il termine ‘ebreo’ sia in assoluto il più frequente nel Mein Kampf, dove compare 373 volte, più di ‘Germania’, ‘razza’ o ‘nazionalsocialismo’. Perché l’avrà fatto?
La storia della prima traduzione italiana, uscita nel 1934, è stata ricostruita dallo storico Giorgio Fabre nel suo libro Il Contratto: Mussolini editore di Hitler. Sulla base dei documenti ritrovati, Fabre ipotizza che Mussolini abbia pagato una somma spropositata per i diritti d’autore come finanziamento occulto per la campagna elettorale del marzo 1933, successiva alla nomina di Hitler a cancelliere, e che vide poi il trionfo dei nazionalsocialisti; e che abbia conferito l’incarico della pubblicazione a Valentino Bompiani, tacendogli la clausola imposta dai tedeschi, che il traduttore non sarebbe stato un ebreo. E infatti il nome del traduttore, ebreo, fu poi espunto dal libro. In un’ambigua intervista a La Repubblica, cinquanta anni dopo, Bompiani insinua che sia stato lo stesso Angelo Treves, convenientemente morto a fine 1937, a proporgli la pubblicazione. Anche se la versione di Bompiani appare smentita dalla ricostruzione di Fabre, rimane la domanda: ma perché Angelo Treves, ebreo, avrà accettato di tradurre il Mein Kampf?
È una domanda cui probabilmente non ci sarà mai risposta. Ma alla domanda sulla parentela ha risposto la cugina Rossella, presidente della Comunità di Vercelli ed infaticabile indagatrice delle vicende degli ebrei vercellesi, nonché restauratrice del loro malmesso cimitero, la quale aveva scoperto il ruolo di Angelo Treves come traduttore del Mein Kampf già alla fine degli anni Settanta. Il bisnonno di Angelo Treves era fratello del mio bisnonno. Parenti eccome. Siamo genealogicamente della stessa generazione, se io sono nato quasi un secolo dopo è solo perché i miei hanno mantenuto un ritmo riproduttivo più blando. Non solo. Angelo Treves mi è parente in ben tre modi diversi, attraverso sia il suo nonno paterno che le sue due nonne, entrambe nate Treves.
Solo il nonno materno non era Treves. Si chiamava Anselmo Vitale, ma nessuna imbarazzante parentela è attribuibile al noto giornalista.
Alessandro Treves, neuroscienziato
(26 giugno 2016)