ORIZZONTE EUROPA Così ha vinto un sovranismo ammuffito

Brexit è la vittoria non del popolo, ma del populismo. Non della democrazia, ma della demagogia. E la vittoria della destra dura sulla destra moderata, e della sinistra radicale sulla sinistra liberale. E la vittoria, nei due campi, della xenofobia, del vecchio odio verso l’immigrato e dell’ossessione di avere il nemico in casa. È la rivincita, in tutto il Regno Unito, di coloro che non hanno mai sopportato che gli Obama, Hollande, Merkel e altri esprimessero la propria opinione su quello che essi si accingevano a decidere. È la vittoria, in altri termini, del «sovranismo» più stantio e del nazionalismo più stupido. E la vittoria dell’Inghilterra ammuffita sull’Inghilterra aperta al mondo e all’ascolto del suo glorioso passato. E la sconfitta dell’Altro davanti al rigonfiamento dell’Io, e del complesso davanti alla dittatura del semplice. E la vittoria dei sostenitori di Nigel Farage su una «classe politico-mediatica» e sulle «élite mondializzate» che essi ritengono siano «agli ordini di Bruxelles». È la vittoria, all’estero, di Donald Trump (il primo, o uno dei primi, ad aver acclamato questo voto storico) e di Putin (il cui sogno e, probabilmente, uno dei progetti — non lo si ripeterà mai abbastanza — è la disgregazione dell’Unione Europea). E la vittoria, in Francia, dei Le Pen e dei Mélenchon che sognano una variante francese di Brexit, mentre ignorano completamente l’intelligenza, l’eroismo, la radicalità e la razionalità francesi. È la vittoria, in Spagna, di Podemos e dei suoi Indignati di cartapesta. In Italia, del Movimento 5 Stelle e dei suoi clown. In Europa centrale, di chi, dopo aver percepito gli utili dall’Europa, è pronto a liquidarla. E la vittoria, ovunque, di coloro che aspettavano solo che si presentasse l’occasione per sottrarsi all’impegno europeo; di conseguenza, siamo all’inizio di un processo di smembramento che, oggi, nessuno sa come potrà essere arrestato. E la vittoria della folla di Metropolis sulla «colazione dei canottieri» (riferimenti al film di Fritz Lang e al dipinto di Auguste Renoir, ndt). E la vittoria degli estremisti violenti e di dementi gauchisti, dei fascisti e degli hooligan avvinazzati e pieni di birra, dei ribelli analfabeti e dei neonazionalisti che fanno venire il sudore freddo. È la vittoria di coloro che, come l’inenarrabile Donald Trump che urla sventolando la parrucca gialla come un lazo: «We will make America great again!», pensano di interpone un muro, anche loro, fra «i musulmani» e se stessi. Questo si potrà dire in anglico, nella lingua dei rital, in franglese. Sarà detto ringhiando, picchiando, cacciando via, rimandando in mare, vietando di entrare o proclamando a voce alta l’irrisorio e fiero: «Sono inglese, io, signore» — o scozzese, o francese, o tedesco o altro ancora. Sarà, sempre, la vittoria dell’ignoranza sul sapere. Sarà, ogni volta, la vittoria del piccolo sul grande, e della cretineria sull’ingegno. Infatti, amici britannici, è evidente che «i grandi» non sono i «plutocrati» e i «burocrati»! E nemmeno i «privilegiati» di cui oggi si sogna ovunque, come da voi, di veder la testa infilzata su una picca! E quelli che Brexit ha silurato, cancellando l’appartenenza all’Europa non sono, ahimè, gli «oligarchi» denunciati dai vostri battistrada! I grandi sono gli amici e gli ispiratori della vera grandezza dei popoli. Sono gli inventori di quella splendida chimera, nutrita con il latte di Dante, Goethe, Husserl o Jean Monnet, che si è chiamata Europa. Sono questi grandi che voi state rimpicciolendo. Ed è l’Europa come tale che si sta dissolvendo nel nulla del vostro risentimento. Che l’Europa abbia avuto un suo ruolo nel processo della propria messa a morte, è vero. Che questa «strana sconfitta» sia anche quella di un corpo esangue, e che si disinteressava alla propria anima, alla propria storia, alla propria vocazione; che l’Europa cui viene dato il colpo di grazia fosse moribonda da anni perché rappresentata da dirigenti scialbi e già fantomatici, il cui errore storico era di credere che la fine della Storia fosse avvenuta e ci si potesse addormentare in un sonno eterno purché venisse messo in funzione l’annaffiatore automatico, è certo. Insomma, che la responsabilità della catastrofe incomba anche su politici che hanno preferito — da fedeli ascoltatori dei loro spin doctor e dei loro maestri sociologi — accarezzare gli eventi nel senso del pelo che è quello della non-Storia, attenuare il rombo dei temuti temporali e rinchiudersi in un newspeak le cui parole sono sempre servite a tacere piuttosto che a dire, anche questo è un’evidenza. Ma coloro che hanno ottenuto la maggioranza al referendum, e coloro che l’applaudono, non vengano a raccontarci che volevano difendere, in segreto, chissà quale «Europa dei popoli». Infatti Brexit non è la vittoria di un’«altra» Europa, ma di una «assoluta mancanza di Europa». Non è l’alba di una rifondazione, ma il possibile crepuscolo di un progetto di civiltà. Significherà, se non si ritorna in sé, la consacrazione della grigia Internazionale degli eterni nemici dei Lumi e di chi ha sempre avversato la democrazia e i diritti dell’uomo. L’Europa era, certo, indegna di se stessa. I suoi dirigenti erano pusillanimi e pigri. I suoi professori erano abitudinari e la loro arte di governare infiacchita. Ma quello che si prospetta al posto di questo giardino dei Finzi Contini è una zona di villini mondializzata dove si dimenticherà, poiché ci saranno ormai solo nani da giardino, l’esistenza di Michelangelo. O meglio, fra coloro che si rassegnassero a lasciar marcire questo mondo nelle pattumiere «trumpiane» della «grande America» dei fucili e stivali, o nella seduzione di un putinismo che reinventa le parole della dittatura o, adesso, nella desolazione di una Gran Bretagna che volta le spalle alla propria grandezza, fra questi dunque e i contemporanei di una fornace da cui uscirono i più spaventosi demoni dell’Europa, non c’è che lo spessore della vita di un uomo. La scelta è quindi chiara. O gli europei tornano in sé, o questo sarà il giorno di una Santa Alleanza dei militanti di una nuova Reazione la cui fonte battesimale si trova non più sul Giordano ma sulle rive del Tamigi. O gli europei escono da questa crisi senza precedenti da settant’anni con parole forti e con una azione di grande rilievo, oppure, nell’ampio spettro coperto dai linguaggi pre-totalitari — dove la smorfia rivaleggia con l’eruttazione, l’incompetenza con la volgarità e l’amore del vuoto con l’odio per l’altro — sarà il peggio a fare la sua apparizione. (traduzione di Daniela Maggioni)

Bernard-Henri Lévy, Corriere della Sera, 27 giugno 2016