L’atto riparatore

Sara Valentina Di PalmaAnno d’oro il 1966. Ci ha regalato qualche nascita importante, la liberazione di Franca Viola dal suo rapitore e stupratore con la prima ribellione al cosiddetto matrimonio riparatore (leggi: consenso postumo allo stupro protratto), l’inchiesta scandalo del giornale liceale La zanzara sulle donne e sulla sessualità in Italia, l’abolizione ufficiale dell’Indice dei libri proibiti istituito nel 1558 dal pontefice Paolo IV (sì non è un refuso: proprio soltanto nel 1966).
In vetta alle classifiche mondiali si ascolta The sound of silence del duo ebraico americano Simon & Garfunkel, brano uscito l’anno precedente ed incluso nell’album Sounds of Silence del 1966, poi inserito nella colonna sonora di un’altro lavoro a suo modo scandaloso e di successo sulla sessualità, il film Il laureato.
Ma soprattutto, cinquant’anni fa usciva per Bompiani, in occasione del conferimento del premio Nobel per la letteratura a Sha”y Agnon, l’edizione italiana del primo romanzo dello scrittore israeliano, con prefazione di Guido Lopez, traduzione di niente di meno che Rav Dante Lattes e copertina illustrata da Emanuele Luzzati. Rav Lattes, a dire il vero, lo aveva già tradotto ed edito per La Rassegna Mensile d’Israel nel 1927, in anni ben più vicini all’atmosfera in cui Agnon aveva scritto E il torto diventerà diritto. Pubblicato originariamente nel 1912, il romanzo narra infatti la vita ebraica in Galizia, terra tra le attuali Polonia ed Ucraina in cui lo scrittore era nato nel 1888. Se nel 1966 quel mondo che i lettori italiani poterono conoscere dalla pubblicazione di Bompiani era definitivamente scomparso, quando Rav Lattes aveva proposto Agnon ai lettori de La Rassegna, la vita degli shtetl galiziani era ancora fervida.
Poi, nel giugno del 1943, il Rapporto sulla soluzione del problema ebraico in Galizia del SS-und Polizeifuhrer registra l’efficace risultato della brutale opera di sradicamento, deportazione ed assassinio condotto nei confronti delle comunità ebraiche locali dal 1941 in avanti, tanto che a suon di Aktionen (deportazioni) e Sonderbehandlung (trattamento speciale ovvero gassazione) la Galizia poté ufficialmente essere dichiarata Judenfrei, letteralmente libera da ebrei. Segue nel rapporto il dettagliato e lunghissimo elenco dei beni ebraici sequestrati (ovvero razziati), e di come gli infidi ebrei braccati, con grande faccia tosta, abbiano cercato in tutti i modi di sottrarsi alle evacuazione e al ridislocamento (eufemismi per deportazioni ed eccidi).
Questo vuoto divoratore e buio assoluto che è stato l’Hourban, come inizialmente la Shoah venne chiamata, era davvero impensabile agli occhi di Agnon quando egli descriveva il brulicante mondo di artigiani e piccoli commercianti di villaggio, il lavoro duro e la povertà, la fede nell’Altissimo e la gioia che accompagnava l’arrivo della Regina Shabbat.
Ed ecco che, staccando le mezuzot di casa, sovviene il ricordo dei poveri Menasceh Hajm e Kreindel Ciarne, lui incapace di bugie e caduto in miseria anche per la troppa onestà, lei sempre dignitosa e forte nonostante le avversità. Menasceh stacca la mezuzà dall’uscio di bottega, il cui affitto non è più in grado di pagare, e uscendo fa il consueto gesto di sfiorare l’astuccio della mezuzà per baciarla ma, non trovandola più al suo posto, si bacia le dita che l’hanno tolta dallo stipite della porta.
Adesso si può davvero uscire, come scrive Agnon, “per non farvi più ritorno”. E ritrovarsi magari in via Klausner a Gerusalemme, insieme al piccolo Amos che racconterà (anche) del taciturno o pio Agnon in Una storia di amore e di tenebra e della sua casa in penombra, profumata di dolce e di caffè.

Sara Valentina Di Palma

(30 giugno 2016)