Maestri…
Troppo spesso, in questi giorni di grandi polemiche, mi sento ribattere che al giorno d’oggi ci vorrebbe “buon senso” da parte dei Rabbanim nell’applicare la Halachah. Sono convinto che questa affermazione sia estremamente corretta. Abbiamo bisogno di guide spirituali di buon senso e buona volontà. Abbiamo bisogno di Maestri veri, che parlano con la voce del Chased e non solo con la voce del Din.
A questo scopo però dovremmo avere ben presente, a priori, la metodologia dello studio delle fonti della Halachah in modo competente, per poi poter esprimere un parere autorevole sulla applicazione della Halachah in una specifica circostanza. Ripropongo qui di seguito alcune riflessioni fondamentali, liberamente tratte dal pensiero di alcuni maestri contemporanei, tra i quali Rav Soloveitchik, una delle più grandi autorità dell’ortodossia moderna americana del 1900.
Ha detto Rav Abah, disse Shmuel, per tre anni discussero Beth Shammay e Beth Hillel. Quelli dicono: la Halachah è secondo noi; gli altri dicono: la Halachah è secondo noi. È uscita una Voce dal cielo (Bath Qol) e ha detto: Sia queste che quelle sono parole del D-o vivente e la Halachah è secondo Beth Hillel. Ma come? Dopo che abbiamo stabilito che queste e quelle sono parole del D-o vivente, per quale motivo la Halachah è secondo Beth Hillel? Perché essi (Beth Hillel) erano gentili e modesti e insegnavano le loro opinioni e anche le opinioni di Beth Shammay. E non solo! Anzi, riportavano prima le parole di Beth Shammay e dopo le loro.[…]
I nostri rabbini hanno insegnato: Per due anni e mezzo hanno discusso Beth Shammay e Beth Beth Hillel: gli uni affermano che sarebbe stato meglio per l’uomo non essere stato creato piuttosto che essere stato creato; gli altri dicono che è meglio per l’uomo essere stato creato piuttosto che non essere stato creato. Alla fine hanno contato [i voti] e hanno deciso che fosse meglio per l’uomo non essere stato creato piuttosto che essere stato creato, ma dal momento che adesso egli è stato creato, che esamini le sue azioni nel passato, oppure come gli altri dicono, che esamini le sue azioni future.
Se una affermazione è vera anche l’altra può essere vera e viceversa. Anche una terza affermazione differente dalle altre può essere vera. È scritto nel Talmud: “Le parole degli uni e le parole degli altri sono parole del D-o vivente”. Questo significa che “Se vi sono parole degli uni e parole degli altri allora si tratta di parole del D-o vivente e dunque di parole viventi”.
L’opinione di un Maestro che è riconosciuto autorevole (un poseq) e che commenta la Torah secondo le regole ermeneutiche rispettando la gerarchia delle fonti della letteratura rabbinica è “parola del D-o vivente” tanto quanto quella di un altro Maestro riconosciuto autorevole.
Nel Talmud l’opinione di Hillel è quasi sempre in contrasto con quella di Shammay. La Halachah, secondo la maggioranza dei Maestri è stabilita secondo Hillel. Questo però non esclude che anche Shammay abbia ragione (un Midrash dice che le opinioni che non sono state stabilite dalla maggioranza dei Maestri del Talmud come Halachah, verranno seguite nel mondo a venire). Una maggioranza posteriore però non può cambiare la Halachah già stabilita in precedenza secondo maggioranza. A questo fine sarebbe necessaria un nuova maggioranza superiore di numero e di saggezza rispetto alla precedente. Ma oggi chi può competere con l’antico Sinedrio?
Qualsiasi controversia, che abbia scopi sacri (in nome del Cielo), finisce per avere risultati durevoli, mentre, qualsiasi controversia, che non abbia scopi sacri, non è destinata ad avere risultati durevoli. Qual è l’esempio di una controversia avente scopi sacri? Quella di Hillel e di Shammai; mentre una controversia senza sacri scopi è quella di Korach e della sua congrega (Avoth 5, 17).
Qual è stato quindi l’errore di Korach?
Per quanto riguarda l’interpretazione della Halachah, la stessa Torah stabilisce che gli ebrei devono prendere in considerazione solamente i pareri di noti studiosi della Torah. Oggi, molti singoli individui, intere comunità, movimenti ebraici moderni, reclamano il diritto di esercitare il loro “buon senso” nel determinare autonomamente cosa debba essere l’ebraismo contemporaneo nella vita quotidiana, benché essi non studino la Halachah e il Talmud in modo sistematico. Questi “posqim” autodidatti ammettono le carenze della loro formazione tradizionale per quanto concerne testi e fonti ebraiche della letteratura rabbinica, tuttavia insistono sul loro diritto di decidere autonomamente, sulla base del “buon senso”, questioni religiose fondamentali, interpretando la Halachah in modo arbitrario e prescindendo completamente dalle regole ermeneutiche e dalla gerarchia della autorità delle fonti della Torah orale intesa come parte integrante della Rivelazione.
Non si tratta di un fenomeno recente: può essere fatto risalire al primo periodo della storia ebraica, alla generazione che ricevette la Torah sul monte Sinai. Non molto tempo dopo, la Torah ci riferisce (Num. cap. 16) come Korach avesse capeggiato una ribellione contro Moshe: egli voleva, secondo i nostri Saggi, sostituire lo stesso Moshe come Maestro. Korach sfidò pubblicamente la competenza halachica di Moshe mettendo in ridicolo la sua interpretazione della Torah, definendola contraria al “buon senso comune”. Rifacendosi al Midrash Tanchuma, Rashì menziona il seguente comportamento di Korach: “Che cosa fece? Riunì duecentocinquanta persone facendo vestire loro dei Tallitot completamente blu, allora essi chiesero a Moshe: ‘Questo indumento interamente blu necessita di tzitziot o ne è esentato?’. Moshe rispose che era tenuto comunque ad avere gli tzitziot. Allora essi cominciarono a prenderlo in giro: È forse logico? Un indumento di qualsiasi altro colore ha l’obbligo degli tzitziot anche se ha un solo filo blu: sicuramente un indumento completamente blu è esentato dagli tzitziot” (Rashì, Num. 16:1). Allo stesso modo, il Midrash ci racconta di un’altra provocazione: “Una casa piena Fifreh Torah necessita comunque di mezuzot?” chiese Korach, e Moshe rispose affermativamente. La replica di Korach: “Se una piccola parte della Torah posta all’interno della mezuzah soddisfa i requisiti del precetto, a maggior ragione molti Sefarim saranno in grado di soddisfare tali requisiti! Tali decisioni halachiche non possono derivare da D-o, ma sono speculazioni artefatte” (Num. R.18). Sicché Korach insistette nel dire che prescrivere una mezuzah in simili circostanze violava una logica elementare.
Tuttavia, nell’ebraismo, è la mitzvah che inizia all’esperienza religiosa. Il sistema legale halachico, essendo un genere di chokhmah, possiede una sua propria metodologia, un modo di analisi dei concetti razionali, così come è per la matematica e per la fisica. Un’analogia con la scienza ci può essere d’aiuto in questo frangente. La fisica aristotelica, che dominò con la propria influenza il mondo antico e medievale, era in alcuni casi fallace proprio perché si basava sulle esperienze legate al senso comune: postulava che un oggetto cade perché ha un peso, cosa che potrebbe sembrare sensata ma che Galileo e Newton dimostrarono essere errata. Questi ultimi sostituirono il “buon senso” ed i “ragionamenti superficiali” con leggi scientifiche, fornendo un quadro della realtà che si distaccava dalle apparenze esteriori. Cosa sono il caldo, il suono e la materia se non creazioni della mente umana in termini matematici? Sono realtà che vengono percepite mediante i nostri sensi ma la loro reale identità è definita in termini concettuali, non empirici. Similmente, la Halachah possiede un suo proprio approccio epistemologico che può essere compreso unicamente da un Chacham in grado di padroneggiare sia la metodologia, sia il vasto materiale, tenendo fede alla gerarchia delle fonti. Proprio come la matematica è più che un gruppo di equazioni, e la fisica è qualcosa di diverso da un insieme di leggi naturali, così anche la Halachah è ben più di un elenco di leggi religiose. Essa possiede il suo proprio Logos, un suo metodo di pensiero e costituisce un sistema indipendente. La Halachah non necessita del “buon senso” così come non lo esigono la matematica ed i sistemi scientifici concettualizzati. Quando la gente parla di una “Halachah insensata, congelata o empirica”, non fa che riproporre l’approccio di Korach. Mancando di una conoscenza specifica della metodologia halachica, che può essere acquisita solamente attraverso vasti studi, la gente si limita ad applicare ragionamenti basati sul “senso comune”, pieni di banalità e di frasi fatte. Come con la fisica aristotelica, essa giudica i fenomeni solamente dalle apparenze superficiali e nota unicamente le sensazioni personali dei singoli. Questo approccio non è tollerato in campo scientifico e non dovrebbe essere tenuto in seria considerazione nel campo della Halachah. Tali giudizi, basati sul “buon senso comune” sono pseudo-princìpi, privi di profondità e di significato.
I sopravvissuti alla catastrofe che sommerse il gruppo di Korach ammisero più tardi, nelle parole dei nostri Saggi, che “Moshe è verità ed è vera la sua interpretazione della Torah, e noi siamo dei mentitori” (B. Bat. 74a). Il giudizio è tuttora valido. Gli Ebrei si accostano alla Torah orale come parte della Rivelazione; alla Halachah come chokhmah. Di conseguenza riconoscono gli studiosi della Torah, i Ghedoleh Israel, come i legittimi Grandi Maestri di Israele. Il “buon senso”, quando applicato alla Halachah, non fa che spargere confusione ed errore, come succede per tutte le discipline specializzate. Noi ci accostiamo alle leggi della Torah solamente attraverso l’interpretazione e la saggezza dei rabbini, senza i quali il testo della Torah scritta è inapplicabile. In tal modo l’ebraismo si fonda su un minimo di Torah scritta e un massimo di Torah orale, sulla Parola di D-o e sulla comprensione di Israele, per la quale, in particolare, dipendiamo dalla Torah orale. Sul Sinai abbiamo ricevuto la Torah scritta e la Torah orale, e i rabbini, che sono gli eredi dei profeti, ne interpretano e ne determinano il significato. C’è molta libertà e c’è molto potere nelle interpretazioni dei Chachamim nella Torah Orale, essi infatti hanno il potere, se le condizioni lo esigono, di accantonare un precetto della Torah scritta. Qui sulla terra il loro parere può anche respingere una opinione presa in cielo (vedi il caso del Figlio Ribelle). Qui si sottolinea il ruolo fondamentale che gioca la Torah orale e l’autorità dei rabbini nel determinare la Halachah. La Torah viene dunque concepita come un corpo unico composto fondamentalmente di due parti. La prima non è comprensibile senza il ricorso alla seconda: solamente dalla loro intima connessione può scaturire il vero senso della Rivelazione. La Torah scritta rappresenta una sorta di appunto, di sintetica epifania di quella Orale, e necessita quindi della integrazione di quest’ultima per poter rivelare i suoi contenuti. La Torah orale diventa in questo modo il vero fondamento di tutta la dottrina ebraica, l’elemento teologico distintivo e la condizione stessa del Patto sul Sinai con il popolo ebraico: è la parte fondamentale della Rivelazione. Misconoscerne il ruolo centrale viene considerato dai Maestri alla stregua della negazione dell’origine divina della Rivelazione.
C’è una perfetta simbiosi fra Torah scritta e Torah orale: la tradizione, la “lettura” offertaci dai rabbini non è mai stata considerata come qualche cosa di esterno al testo scritto, bensì il suo spirito, il suo complemento, la sua interpretazione autentica per quanto riguarda la vita pratica, la vita cioè della Halachah. La base di tale interpretazione si trova secondo i rabbini nella Rivelazione stessa del Sinai, e proprio in tale Rivelazione sono stati fissati i principi che hanno permesso ai rabbini stesso di interpretare, di generazione in generazione, la Torah scritta onde trovare la giusta risposta ai nuovi problemi. La Torah ormai non è più in cielo, essa non appartiene agli angeli che non hanno l’istinto del male; essa è stata data, con le sue regole di applicazione, agli uomini; proprio gli uomini, con le loro debolezze, necessitano della Torah. D-o stesso ha, secondo la tradizione, riconosciuto la veridicità dell’interpretazione dei Maestri, quando la maggioranza del Sinedrio si rifiutò di seguire una voce divina che sembrava approvare l’opinione di un singolo saggio, contro l’opinione della maggioranza dei Saggi. D-o ha sorriso, esclamando: Nitzchuni banay! (i miei figli mi hanno vinto!); il Maharal di Praga fa però osservare che la frase può anche significare: “i miei figli mi hanno reso eterno!”.
Se non ci sono i Chachamim, non c’è Torah. Il Rabbino parla in modo autorevole sulla Torah orale e sulla Torah scritta. È dotato quindi dell’autorità che gli deriva dalla tradizione. Egli stesso può prendere parte al processo della interpretazione della Torah scritta. Nel Talmud le discussioni tra i Maestri per stabilire la Halachah si fondano su basi testuali nella Torah scritta, nella Torah orale (Mishnah, Talmud e qualsiasi altra fonte rabbinica riconosciuta) e nelle parole dei Grandi Maestri in maniera indivisibile. I rabbini non fanno nessuna differenza di rango tra quanto scritto nella Torah scritta e quanto affermato nella Torah orale. Non ci sono gradi nella Rivelazione continua (fermo restando il principio che un Maestro non può contestare la Halachah già stabilita dalla maggioranza dei suoi predecessori). Non si compiono distinzioni tra le forme della Torah: Torah scritta e le parole dei Maestri (di ieri e di oggi). E poiché le cose stanno così, il libro del Maestro, si tratti del Talmud, della Mishnah, di un Midrash Halachah, di un Shut o di un’opera di Halachah contemporanea, è Torah orale, cioè è rivelato da D-o a Moshe sul Sinai: Parola del D-o vivente. Esso forma parte della Torah orale, un documento quindi pienamente “canonico”. Il Chacham è come Moshe Rabbenu (“Mosè nostro Maestro”), che ricevette Torah scritta e la Torah orale.
Poiché i testi rabbinici affermano ripetutamente che, se si vuole conoscere la Halachah, non solo si deve prestar ascolto a ciò che dice il Chacham, ma anche imitare quanto fa, ne segue che, nella sua persona, il Chacham rappresenta e incarna la Torah orale. Questa è la ragione per cui ciò che dice il Chacham sul significato della Scrittura è derivato dalla Rivelazione. Le raccolte delle cose da lui dette sulla Scrittura costituiscono parti integranti della Torah orale. Così nel Chacham la parola di D-o divenne carne. Il Chacham è Torah orale.
Il concetto di “dinamismo nella continuità” dell’ebraismo rabbinico senza una necessaria evoluzione (modifica, cambiamento) della Halachah esprime bene il metodo: passare ogni problematica imposta dal vivere contemporaneo al vaglio delle fonti della letteratura rabbinica (Torah orale), coerentemente con le regole ermeneutiche e la gerarchia delle fonti, in una prospettiva dinamica e positiva al tempo stesso, interrogando gli antichi testi rabbinici al fine di riproporli come possibile chiave di lettura della realtà nel suo costante divenire. Con questo metodo si rende infinito ed eterno il concetto di Torah orale, in questo modo i grandi Maestri di oggi elaborano risposte “antiche-moderne” a domande nuove. In pratica si scrivono nuovi commenti e opere rifacendosi sempre ai testi antichi, ciò che non cambierà mai è il metodo interpretativo, che è sempre lo stesso (regole ermeneutiche e gerarchia delle fonti).
Paolo Sciunnach, insegnante
(11 luglio 2016)