In ascolto – Il grano

Maria Teresa MilanoA luglio il grano è maturo e le spighe ondeggiano nei campi, pronte per essere tagliate.
“Quelli che abitano alla sua ombra ritorneranno, rivivranno come il grano…”, profetizzò Osea nei tempi antichi e “Hakhita tzomakhat shuv – Il grano cresce ancora”, avrebbe scritto secoli dopo Dorit Zameret nel suo kibbutz, Beit Hashita, con lo sguardo rivolto al monte Gilboa, alle distese dei campi, ai carrubi e agli ulivi. È nota la storia del kibbutz Beit Hashita, che nella guerra di Kippur subì notevoli perdite materiali e umane, una vicenda che ancora oggi viene spesso ricordata.
Era il 1974 e Dorit scriveva per fare memoria degli undici membri del kibbutz morti l’anno prima; nella sua canzone descriveva la bellezza di quel paese che la guerra aveva lacerato e oggi “Hakhita tzomakhat shuv”, che negli anni è stata ripresa da molti nomi della musica israeliana, più o meno conosciuti, rientra nel novero delle “canzoni commemorative”.
Dorit è una donna profondamente legata alla vita del kibbutz proprio come l’autore della melodia,
Haim Barkani, nato a Lodz nel 1923 da Gershon ed Ester, due musicisti che lo introducono allo studio del pianoforte da piccolino. Da ragazzo entra nel circuito della musica leggera e approfondisce la conoscenza del pop e del jazz. Durante la Seconda guerra mondiale fugge in Russia con la famiglia e al termine del conflitto si trasferisce per un breve periodo in Italia. Dopo una serie di traversie, nel 1949 arriva finalmente in Israele al kibbutz Kfar Menachem. Barkani è stato insegnante di musica, compositore, illustratore, caricaturista e grafico e la sua carriera prende il via all’inizio degli anni ’80 grazie alla canzone “La mia casa è di fronte al Golan”. Di qui inizia importanti collaborazioni con i grandi nomi dell’epoca come Yaffa Yarkoni e Arik Einstein. La sua vita intensa e piena racconta la storia di un uomo profondamente legato alla vita del kibbutz e la scelta stessa dei testi su cui compone le melodie esprime l’amore per la sua terra.
Hakhita tzomakhat shuv si chiude con la consapevolezza incredula che il ciclo della vita e della natura non sono toccate dalle tragedie umane e continuano il loro corso, come se nulla fosse successo: “E tutto quel che è stato forse sarà per sempre; il sole è sorto e di nuovo è tramontato, le canzoni sono state cantate ma come potevano esprimere tutto il dolore e tutto l’amore? Sì, questa è la stessa valle; sì, questa è la stessa casa ma voi non potete fare ritorno; ma come è successo, come è successo e ancora succede che il grano, sì, il grano cresce ancora”.

Maria Teresa Milano

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