…democrazia
Quattromila like, 661 condivisioni, oltre 854 mila mi piace sulla sua pagina facebook. Il cittadino Luigi di Maio potrà anche essere antipatico, e le sue tesi sul futuro politico del conflitto mediorientale saranno pure ingenue e utopistiche, se non azzardate e serenamente partigiane, ma di certo la sua visita a capo di una delegazione M5S in Israele e nella futura Palestina non può esser solo oggetto di scherno. La narrazione, forzatamente sobria, che accompagna la sua visita, è piuttosto interessante.
Segue i canali istituzionali incontrando in ambasciata italiana a Tel Aviv esponenti dell’imprenditoria (start-up) e delle associazioni NGO che combattono per i diritti umanitari in Israele. Si reca poi a Yad Vashem e al cimitero dove sono ricordate le vittime israeliane del terrorismo. Quindi va a Hebron a far visita al contingente italiano, poi a Bethlehem dove incontra la sindaca e apprezza il modello di “convivenza” fra le tre comunità religiose (musulmani, cristiani ed ebrei). Ignoro cosa gli è stato mostrato e di cosa parli il suo collega Manlio Di Stefano, ma parlare di “convivenza modello” da quelle parti è per lo meno problematico: è proprio sul nodo della convivenza che si gioca la trattativa politica interrotta. Comunque, prosegue la sua visita e incontra altri gruppi misti arabo-ebraici che manifestano legittimamente contro l’occupazione in maniera pacifica. Quindi va a incontrare lo scrittore Etgar Keret per sentire il polso degli intellettuali ebrei, e ne esce un godibile articolo di quest’ultimo sul Corriere del 10 luglio.
Compie poi lo scivolone di chiedere (senza aver prima concordato la visita) di entrare a Gaza per verificare come vengano spesi i denari della cooperazione. E gli dicono di no, per motivi di sicurezza (sa, onorevole, non è come qui in Europa che se decido di prendere la macchina e andare ovunque, almeno per il momento nessuno mi chiede nulla: lì sono cent’anni che si combatte, e prima di passare un confine…). Ma bastava dirgli che al momento a Gaza il governo è nelle mani di Hamas, che è nella lista delle organizzazioni terroristiche internazionali, e che neppure Mahmud Abbas ci si avventura da diverso tempo. Infine si reca alla Kenesseth, dove incontra esponenti di tutte le forze politiche. La narrazione, dicevo. Ne viene fuori un giro conoscitivo di tre giorni, a metà fra l’istituzionale e il militante (non scevro da pregiudizi), forse specchio della confusione e della mancanza di una strategia di politica estera coerente all’interno del movimento grillino. Non penso che ci si potesse aspettare di più. In effetti un movimento politico che si pone come obiettivo di principio quello di combattere la corruzione e di dare la voce ai cittadini difficilmente potrebbe produrre una strategia che non sia ispirata a generiche parole d’ordine legalistiche. L’unica opzione politica di principio uscita nei comunicati ufficiali parla infatti di rispetto delle risoluzioni delle Nazioni Unite, una generica enunciazione che sembra non tenere conto della storia pluridecennale di risoluzioni contraddittorie, guerre, attentati e trattative che si sono susseguite nel corso di oltre mezzo secolo. Non basta, e non basterà, se mai quel movimento dovesse assumere la guida politica in Italia. Quello che colpisce, tuttavia, al di là della narrazione ufficiale di questa visita, sono i commenti dei simpatizzanti pentastellati, e la loro visione di Israele e del conflitto. Ne emerge una pancia grillina brulicante di un antisemitismo atavico nelle forme e nel linguaggio, che giudica le politiche mediorientali attraverso le lenti distorte di una propaganda antiebraica a tratti violenta e apparentemente irrefrenabile. Colpisce in tutto questo la visibile assenza di un intervento moderatore, se necessario censorio, da parte di chi – come il cittadino Di Maio – ha responsabilità politiche eppure ospita nella sua frequentatissima pagina Facebook espressioni che non solo distorcono pesantemente la realtà mediorientale, ma rischiano di inquinare in maniera definitiva qualsiasi aspirazione ad affermarsi come forza di governo. Se il concetto di democrazia considerato dal M5S risiede nell’idea che in rete ognuno sia libero di scrivere tutto quel che pensa (comprese espressioni cariche di pesanti pregiudizi antisemiti, fra l’altro perseguibili per legge), allora dovrà essere chiaro che è su questo punto che si giocherà nel prossimo futuro la vera guerra di civiltà.
Gadi Luzzatto Voghera, storico
(15 luglio 2016)