Le voci ebraiche sul regime di Erdogan
“In Turchia la libertà è a rischio
per tutti. Viviamo nella paura”

la-1468872676-snap-photo (1) “Le persone qui sono nel panico. Non c’è un colpo di stato militare dal 1980 e la nostra generazione non ha idea di quello che succede o che succederà, tanto più che qui non è mai capitato che un golpe non avesse successo”. È preoccupato Jack, trentenne ebreo di Istanbul, che vive queste ore nell’apprensione per una situazione incerta e resa ancora meno chiara dalla scarsa circolazione di informazioni nel paese. In seguito al fallito colpo di Stato, il presidente Erdogan ha avviato una feroce campagna di epurazioni con arresti e licenziamenti di massa, prima tra le forze di sicurezza, e poi tra giudici, insegnanti e professori universitari, per arrivare a giornalisti e religiosi, per un bilancio di circa 60 mila persone coinvolte. “Non sono in grado di dire se il golpe sia stato vero o orchestrato da Erdogan – spiega Jack – perché non conosco abbastanza fatti e non sono nemmeno sicuro che quelli che conosco siano fatti realmente accaduti”. Ma non è solo questo il problema: “Dovete capire che non sono in grado di parlare in totale libertà – chiarisce – a meno che non ci vediamo faccia a faccia, e in un luogo non troppo pubblico”.
Quanto alla chiusura e al controllo dei social network, al momento è tutto aperto tranne Wikileaks (che nelle scorse ore ha pubblicato 300mila mail del partito di Erdogan). Tra chi però ha partecipato in passato a proteste antigovernative come quella di Gezi Park del 2013, ci sono già stati casi di controlli e intercettazioni delle telefonate e delle altre comunicazioni. In particolare, sotto l’attenzione governativa è finito chi ha molti amici e contatti che lavorano nel campo della diplomazia e della politica internazionale e con le sue pubblicazioni sui canali online raggiunge un largo bacino d’utenza.
Per quanto riguarda l’integralismo islamico, direzione presa da Erdoga, Jack conferma che secondo lui “è vero che sta notevolmente aumentando la radicalizzazione del paese. Credo che questo sia legato da un lato al fatto che Erdogan ha molti legami con le correnti e i movimenti islamisti – spiega – ma anche al fatto che tra le persone c’è molta ignoranza”. Conferma Jo Abeni, ebreo turco che ora vive a Milano, il quale ha ancora una sorella e una parte della sua famiglia in Turchia: “Poiché un colpo di stato si è dimostrato una strada non percorribile, l’unico modo di spodestare Erdogan dovrebbe essere batterlo in un’elezione democratica. Il problema – spiega – è che però il presidente gode di un largo consenso da parte della popolazione, mentre le correnti politiche più laiche non hanno un leader altrettanto carismatico”. In ogni caso, aggiunge Avraham Hason, ebreo di origine turca ed ex consigliere della Comunità ebraica di Milano, “è necessario fare anche attenzione alle notizie che arrivano in Italia. Oggi per esempio sulla stampa nazionale si parlava di un obbligo esteso a tutte le donne di portare il velo – osserva – ma mia moglie si trova in Turchia in questi giorni e mi ha detto che può tranquillamente girare per le strade indossando tutto ciò che desidera”.
In questa situazione tesa e confusa, Jack fa capire che tra gli ebrei c’è già chi sta pensando al suo futuro in Turchia e alla possibilità di trovare casa in luoghi più liberi: “Finché ci saranno ebrei in Turchia la Comunità ebraica farà tutto il possibile per offrire loro sostegno – conclude – ma se decidono di andarsene… beh, la Comunità non ha l’autorità per dire loro di restare”.

Francesca Matalon twitter @fmatalonmoked

(foto di Getty Images)

(20 luglio 2016)