Ticketless – Akados Baruch

Cavaglion Diversamente da altre città-porto del Mediterraneo, le cui comunità ebraiche sono state oggetto di una vivace discussione negli ultimi tempi, Nizza è rimasta fino ad oggi nell’ombra. Ha pesato la lontananza dalla capitale. Nizza di fatto è fisicamente distante da Torino assai più che Trieste da Vienna. È ben vero tuttavia che, al pari di Trieste, la “nissardité”, simile alla “tristinität”, si configuri, fin dalle origini cinquecentesche, un “crogiuolo” di provenienze. Questo mi veniva in mente nei giorni precedenti il terribile attentato del 14 luglio, triste ironia della sorte, leggendo il volume, appena uscito, di Simonetta Tombaccini (La “Nation Hébraïque de Nice. Populations, institutions, moeurs 1814-1860, Académia Nissarda).
Nizza per i piemontesi è una specie di Albero vivente della Libertà, il simbolo stesso della rivoluzione e della emancipazione. Nell’immaginario collettivo è assai più di una semplice città-porto. Se ne scorgono i segni nelle memorie di Guido Fubini e nell’opera di Angelo Donati. Per alcuni discendenti dei “giudeo-nizzardi”, la Francia continuò ad essere per decenni la terra della Eguaglianza, scelta come luogo di fuga dopo l’emanazione delle leggi razziali, senza immaginare le terribili rafles sulla Promenade des Anglais che l’altra sera in televisione sono balenate ai miei occhi increduli come un déja vu. Nel vecchio quartiere ebraico del Porto a Nizza il dialetto ebraico-nizzardo è lo stesso che si ascolta al di qua delle Alpi. L’ubriaco è “Sicòr” qui come a Torino. Le impervie roccie delle Alpi del Mare non sono state sufficienti a togliere autorità al Padre Eterno, che i giudeo-nizzardi da mezzo millennio chiamano -più gutturalmente di noi piemontesi- Akados Baruch. C’è di mezzo il soffio di Mistral. Prima di scrivere questa nota ho voluto verificare su Google Map. Il tir dell’attentatore ha chiuso la sua folle corsa all’altezza della casa dove aveva deciso di vivere gli ultimi anni della sua vita Piero Treves, figlio del leader socialista Claudio. Aveva scelto Nizza per i ricordi risorgimentali, per la nostalgia di quel moderato irredentismo di confine, soprattutto per coerenza e devozione verso la città degli esuli antifascisti, di Pertini che a Nizza sopravviveva facendo il muratore, per l’accoglienza che quel lembo di costa offrì a chi dall’Italia di Mussolini scappava via mare. Infine per lealtà alla Francia repubblicana, a Blum, a quella cultura europea e cosmopolita inesorabilmente andata in frantumi. Non praevalebunt, avrebbe detto Piero Treves.

Alberto Cavaglion

(20 luglio 2016)