Orizzonti – Il «depresso» di Nizza e i fanatici dell’Apocalisse

Da più parti, nei giornali e tra i commentatori solitamente più inclini a separare il terrorismo dalla sua matrice religiosa islamica, si sottolinea con malcelato sollievo che lo stragista jihadista di Nizza pare fosse un «depresso», un asociale, un folle insomma. Come se fosse più rassicurante attribuire la carneficina al gesto di uno psicopatico. Come se, soprattutto, una personalità disturbata, clinicamente incline alla depressione nientemeno, contribuisse ad annullare, o comunque a lasciar sbiadire, la matrice ideologico-religiosa di un atto terroristico così infame. Come se il fanatismo assoluto, la consacrazione di sé a una Causa santa che prevede il martirio e lo sradicamento del Male attraverso il sacrificio di innumerevoli esseri umani non fosse, appunto, una formidabile e sanguinaria risposta al banalissimo male di vivere, all’insignificanza della vita, al vuoto dell’esistenza, a un’umanità affamata di significati da servire con dedizione intransigente. Come se nella storia i «fanatici dell’Apocalisse», come li definì il grande studioso Norman Cohn in un libro straordinario del 1957, The Pursuit of the Millennium, non abbiano ripetutamente trovato nei miti della rigenerazione apocalittica, nel febbrile millenarismo ideologico a sfondo religioso, un formidabile rimedio persino ai loro «problemi quotidiani». Erano tutti sani di mente, estranei a ogni forma di psicopatologia i forsennati seguaci di Pol Pot che svuotarono le città cambogiane per riempire i campi di sterminio in cui gli assassini invasati erano i bambini che uccidevano i loro genitori? Il fanatismo islamista fornisce appunto il vocabolario cui attingono senza requie i «lupi solitari» che oggi vorremmo raccontare come se fossero tanti sociopatici somiglianti al Robert De Niro che in Taxi driver usciva di testa per purificare la città corrotta. Anzi, il «depresso» trova nel manicheismo estremo dello jihadismo un ricco repertorio di motivi per annientare le città peccaminose, punire gli infedeli, depurare il mondo da tutto lo sporco che impedisce la via della santità e della purezza e così trovare un senso mistico di appartenenza al partito dei puri e dei santi disposti a morire per guadagnare il vero paradiso. Una terapia efficacissima per la «depressione» dei singoli. E la storia dimostra che il fanatismo apocalittico ha richiamato a sé molti più pazienti di qualunque psichiatra.

Pierluigi Battista, Corriere della Sera, 19 luglio 2016