Qui Trieste – Redazione aperta
Viaggio nel campo di Idomeni
L’umanità in fuga dalla guerra

28330155742_4f7a27ea54_z“Volevo toccare con mano il fenomeno migratorio, farmi un’idea mia, per questo sono partito per Idomeni”. Francesco Moisés Bassano, collaboratore della redazione dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane con uno spazio settimanale su Pagine Ebraiche 24, ha passato dieci giorni, a inizio aprile 2016 a Idomeni, la grande tendopoli al confine tra Grecia e Macedonia dove masse di migranti, percorrendo la cosiddetta “rotta balcanica”, hanno trovato rifugio per alcuni mesi. Sgombrato nel maggio scorso, il campo era abusivo, sorto spontaneamente, e per molte settimane ha riempito le cronache dei giornali, diventando l’esempio dell’incapacità dell’Europa di dare una risposta alle decine di migliaia di persone che fuggono da guerre e persecuzioni per approdare nel Vecchio continente.
“Sono partito in compagnia di un amico fotoreporter”, ha raccontato Francesco, durante l’incontro organizzato a Redazione aperta, il laboratorio giornalistico UCEI che si tiene in questi giorni a Trieste. “Durante la mia permanenza ho parlato con molte persone, yazidi, curdi, iracheni, siriani. Tutti fuggivano da situazioni di guerra, in cui era minacciata la loro stessa vita”. “Nel campo c’era chi fuggiva dalla minaccia del Daesh, chi dalle milizie di Assad, chi dai bombardamenti della coalizione. – racconta Francesco, studente di lettere ed impegnato nel volontariato anche nella sua città, Livorno – Più in generale: scappano dalla guerra. Dalla minaccia diretta alla proprio incolumità fisica. Con gli arabi che ho incontrato, non ho approfondito l’argomento ebrei o Israele, anche se quando è capitato di accennarvi, non ho avuto la sensazione che l’argomento fosse al centro dei loro pensieri. Yazidi e curdi, invece, dimostravano una aperta simpatia nei confronti degli ebrei. E qualcuno mi ha anche detto che gli sarebbe piaciuto emigrare in Israele. In particolare con gli yazidi, pesantemente colpiti dalle persecuzioni del Daesh, mi sono trovato molto a mio agio”.  
Francesco è intenzionato a mantenere l’impegno nel volontariato e in favore delle popolazioni migranti. “Molte persone che ho incontrato avevano un buon livello culturale, tanti parlavano inglese, in quel campo c’era anche tanta ‘classe media’ dei rispettivi Paesi. Penso che chi giudica questo fenomeno, dovrebbe prima provare a comprenderlo, senza pregiudizi.”

Marco Di Porto